giovedì 2 luglio 2015

Caos greco: qualche riflessione


L’attuale situazione di caos finanziario greco impone qualche riflessione. Non entro nel merito delle scelte dell’esecutivo ellenico che ha ereditato una situazione finanziaria ampiamente compromessa e, eletto sulla base di un programma che portasse il paese fuori dall’austerity, si vede probabilmente costretto ad un duro confronto con le autorità monetarie per evitare di tradire l’impegno assunto nei confronti degli elettori. Mi soffermo, invece, sul problema del debito pubblico e dei conti della pubblica amministrazione in senso più allargato. Alla fine, infatti, il problema della Grecia mette in risalto alcuni aspetti cruciali:
L’adesione all’euro, in presenza di un alto debito pubblico, ma soprattutto, nel momento in cui non sussista una vera condizione di equilibrio dei conti pubblici, meglio ancora, di attivo di bilancio, è possibile solo a condizione che i creditori siano disposti a finanziare a tempo indeterminato tale disavanzo. Questa constatazione, tanto scomoda quanto ovvia, dovrebbe essere un forte ammonimento per tutti quei paesi, Italia purtroppo inclusa, per la quale è imperativo procedere ad una drastica riduzione degli sprechi e dell’evasione, unica seria alternativa a delle politiche di riduzione del welfare o di ulteriore inasprimento della pressione fiscale. Detto in parole povere, non c’è più spazio né risorse da dedicare al mantenimento di privilegi di casta e per sopportare le inefficienze e le tante ruberie. Solo regole giuste, una fiscalità equa e trasparente, e conti pubblici in equilibrio, costituiscono il prerequisito che permette di sottrarsi ai possibili “aut aut” dei creditori e di riappropriarsi della forza politica per poter intraprendere in piena autonomia le scelte di indirizzo economico e fiscale. Una buona applicazione pratica di questi principi potrebbe riassumersi nel semplice enunciato che: “non esistono diritti acquisiti” se essi sono naturati a seguito di privilegi o modelli economici non sostenibili e che vanno a detrimento dell’identico diritto di chi è tenuto a farvi fronte a detrimento del proprio trattamento. In questi casi, la messa in discussione di tali diritti e la ricalibratura dei trattamenti è tanto etica quanto obbligatoria.
Nei giorni scorsi si è tanto parlato delle differenze riguardanti i regimi pensionistici e previdenziali che caratterizzano i diversi ordinamenti europei. Facendo riferimento al caso della Grecia, è possibile, ad esempio, approfondire tali tematica in:

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-05-23/pensioni-greche-resistono-deroghe-e-privilegi-081144.shtml?uuid=AB7YfQlD.

-  http://www.lastampa.it/2015/06/29/economia/il-buco-nero-delle-pensioni-di-atene-F3ohwysBe1P59XdOqjuToL/pagina.html.

-   http://www.huffingtonpost.it/2015/07/02/grecia-fornero-non-taglierei-le-pensioni_n_7710868.html?1435819187&utm_hp_ref=italy

Al di là che molti di noi vorremmo poterci permettere di andare in pensione rapidamente con un trattamento economico adeguato e desidererebbero un sistema di ammortizzatori sociali che consenta a tutti di vivere decorosamente, risulta sempre più chiaro che per riuscire a conseguire tale risultato è necessario che, finanziariamente, la società sia strutturata in modo da poterselo permettere. In caso contrario si finisce per indugiare intorno a semplici illusioni e bugie, le quali, guarda caso, sono il pane quotidiano della classe politica che, ahimè, abbiamo votato negli ultimi trent’anni (e forse più!).
L’aspetto più importante però, in fondo non ha nulla a che fare con le reali o presunte debolezze morali dei paesi mediterranei dell’area euro.  Da un punto di vista più pragmatico, infatti, risulta ormai evidente il limite di un’unione che vorrebbe reggersi solo attraverso l’adozione della moneta unica e non anche sull’armonizzazione di tutti gli altri aspetti economici, sociali e fiscali che caratterizzano una società evoluta. In pratica, alla lunga, è impossibile, per i politici dei paesi cosiddetti “virtuosi”, che si trovano nella posizione di creditori, giustificare di fronte ai propri elettori il finanziamento a tempo indeterminato delle situazioni di disequilibrio di quei partner che, a torto o ragione, vengono considerati meno rispettosi. Servono dunque, parametri oggettivi minimi che fissino delle regole uniformi per tutti. Per raggiungere tale obiettivo non vedo altra soluzione che rinunciare a un po’ di sovranità nazionale a favore di un governo europeo rappresentativo che sia in grado, sia di imporre il rispetto delle regole comuni ai governi nazionali, sia di distribuire le risorse con criteri mutualistici fra aree più ricche a quelle più povere. Se si pensa al problema, questo è esattamente ciò che già avviene quando uno governo nazionale si permette di “commissariare” regioni, provincie e comuni ritenuti inadempienti rispetto ai parametri fissati per il resto della nazione. Dunque, se effettivamente si vuole uniformare un certo aggregato sociale e territoriale, prima si devono fissare le regole condivise e le si devono far rispettare in ogni luogo; poi, sulla base del rispetto di tali regole (i famosi “doveri” che, a parer mio dovrebbero precedere e giustificare i “diritti”), si possono/devono spostare le risorse dalle aree che producono un eccesso di risorse a quelle che si trovano in maggior difficoltà. A parer mio, però, è proprio la condivisione degli obblighi e delle regole comuni che giustifica l’attivazione delle garanzie mutualistiche fra stati, regioni e singoli individui. Banalmente, sto solo sostenendo che non può esserci un’Unione Europea se gli aderenti non sono disposti a sottomettersi al medesimo “contratto sociale” perché, al di fuori di tale accordo, esistono solo i rapporti di forza: forti contro deboli, ricchi contro poveri, creditori contro debitori.

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