venerdì 30 gennaio 2015

Recensione: Cairo Automobile Club


“Cairo Automobile Club”, titolo originale: “Nadi al-sayarat”, di ʿAlāʾ al-Aswānī, traduzione di Elisabetta Bartuli e Cristina Dozio, edizioni Feltrinelli, ISBN: 978-88-07-03107-6.

Il romanzo si svolge intorno agli ambienti del Regio Automobile Club del Cairo, fondato nel 1924. Siamo negli ultimi anni quaranta del novecento, come testimonia che, all’elitario bar del Club sia possibile ordinare il “one balled dictator cocktail!” (in voga fra i reduci del conflitto). L’ambiente del Club è raffinato ed esclusivo mentre l’ingresso è gelosamente riservato ai dominatori stranieri e a qualche membro selezionato dell’elite locale, stretto alla figura del sovrano d’Egitto a sua volta dedito esclusivamente al gioco d’azzardo (storicamente è considerato uno dei maggiori giocatori di poker del tempo!) e al libertinaggio e ben lontano dai problemi reali del Paese.

Il Club è anche, ovviamente, il luogo di lavoro di una numerosa mano d’opera locale, tenuta al rispetto di regole di comportamento e igieniche eccezionali. Lavorare al Club è considerato un privilegio e i lavoratori che si prodigano per esso appartengono sì a una casta, di per sé, privilegiata, ma questo non li risparmia dalle ingiustizie e angherie dei potenti, primo fra tutti il “Kao”, il camerlengo del re, loro responsabile e tirannico sovrintendente.

 Addetto al compito di aiuto magazziniere lavora al Club anche ‘Abdelaziz Hamam, proprietario terriero ormai rovinato e decaduto, emigrato dall’Alto Egitto come molti dei dipendenti dell’Automobile Club. Egli conduce un’esistenza stentata per mantenere i figli agli studi e conservare una condotta decorosa e onorevole.

Intorno a lui, alla sua famiglia si svolge un romanzo corale pieno di personaggi minori, alcuni dei quali molto stereotipati, che raccontano ognuno, un aspetto tipico della società egiziana del tempo e, a parer mio, anche di quello contemporaneo. Per chi ha già letto “Palazzo Yacoubian”, romanzo del medesimo Autore sarà possibile ritrovare molte similitudini fra le due opere che, a parer mio, appaiono costruite sul medesimo impianto.

Il romanzo comunque vola via in maniera scorrevole e, personalmente, l’ho trovato assai gradevole. Il finale mi ha invece lasciato perplesso, ho avuto l’impressione che le varie vicende a incastro siano lasciate un po’ in sospeso e non vengano portate a completa maturazione. La storia finisce in maniera affrettata, inaspettata e, a mio avviso, incompleta. Pertanto, mi chiedo se l’Autore non abbia in realtà già l’intenzione di proporre un seguito.

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