Ma insomma, perché la gente non
spende? A me, personalmente la spiegazione appare abbastanza semplice; innanzi
tutto moltissimi non hanno né soldi né lavoro. La disoccupazione giovanile ha
raggiunto, almeno in Italia livelli mostruosi (con punte anche superiori al
40%); spesso poi, in questo caso, anche quando il lavoro c’è, finisce per
essere precario e sottopagato. Anche la cosiddetta “mobilità”, in questo
caso, intesa proprio in senso fisico di propensione a spostarsi, spesso non
aiuta a stimolare la propensione a investire, precludendo così un’ampia fetta
di potenziali consumi. Difficile, infatti, pensare di sposarsi, comprare una
casa e, persino un’auto, se si pensa di trasferirsi a breve e comunque più di
una volta nel breve termine e magari all’estero. La mancanza di serie certezze
rispetto alla propria capacità di reddito lavorativo non implica tanto
l’esistenza e la ricerca del famigerato “posto fisso”, quanto l’accesso a
un’ampia disponibilità di lavoro ragionevolmente remunerato e che permetta di
stabilizzarsi nel medio - lungo termine in un’area geograficamente sufficientemente
ristretta da permettere spostamenti quotidiani partendo dal medesimo punto
fisso (il proprio domicilio!). Basandosi su osservazioni e su riflessioni che a
me paiono di semplice buon senso, la mancanza di queste condizioni condiziona
negativamente fin dal principio la propensione a sostenere buona parte delle
spese che, fino a poco tempo fa, erano date per scontate perché funzionali al
puro e semplice “ciclo vitale” delle persone.
E’ anche vero, però, che altri il
lavoro ce l’hanno e, spesso si tratta di un impiego relativamente fisso e
tutelato. E allora perché anche questi soggetti si mostrano molto cauti nelle
spese? Per queste fasce di consumatori il problema, a mio avviso, è legato alle
percezioni riguardo al futuro. Nell’immediato, sono molte le persone che sono
spaventate dalla possibilità di perdere il posto di lavoro sapendo, tra l’altro
di avere scarse opportunità di ritrovare rapidamente un impiego che garantisca
un reddito almeno equivalente. Facendo poi delle valutazioni un po’ a più ampio
respiro, purtroppo realistiche, tutti si aspettano semplicemente di fare nel
proprio futuro l’esperienza di una serie più o meno lunga di anni da “esodati”,
cioè in una condizione dove si è privi di lavoro, ma non si sono ancora
raggiunti i limiti di età per accedere alla pensione. Infatti, chi crede veramente
che conserverà il proprio posto di lavoro fino a sessantasette anni di età? Come
se questo non bastasse, la fiducia nella società e nello Stato è al minimo;
nessuno si aspetta veramente un livello di pensione dignitoso (posto di
arrivarci), nessuno pensa che potrà conservare il proprio TFR e ottenerlo a
scadenza sotto forma di capitale. In compenso, tutti sono abbastanza certi che
la pressione fiscale su chi è ancora in grado di produrre un reddito che non
sia in “nero” non diminuirà, e anzi, tutti sospettano che essa sia destinata a
salire in varie forme poiché il futuro lascia intendere che, a parità di costi
dell’apparato statale, ci siano meno contribuenti a suddividersene il carico.
Dall’altra parte, è anche chiaro che il welfare sarà sostanzialmente
ridimensionato e che, pertanto, il livello dei servizi erogati dallo Stato e
dagli Enti locali sarà destinato a diminuire drasticamente in termini sia di
qualità sia quantità. Tutto ciò sarebbe già abbastanza grave se non
intervenissero anche ulteriori fattori negativi a minare il già critico livello
di fiducia, cioè, da una parte, la costatazione che le difficoltà economiche
che attanagliano la vecchia Europa siano dovute a un’epocale e irreversibile fase
di trasformazione economica originata dal fenomeno della globalizzazione, nei
confronti della quale sembra difficile uscire completamente indenni; mentre dall’altra,
si aggiunge la semplice osservazione che gli organi politici e amministrativi
non sembrano in grado (almeno non lo sono stati fino a ora!) di trovare delle
soluzioni veramente valide per far fronte a questa situazione e, più importante
ancora, non appaiono in possesso né della forza, né della volontà, ma
soprattutto dell’interesse di riformare se stessi per sgravare la società
civile del peso della loro stessa cronica inefficienza (che spesso riflette
solo l’entità della loro “rendita di posizione”). Proprio in un momento dove
sarebbe necessario fare ogni sforzo per gestire al meglio le risorse in
contrazione che ancora sono in nostro possesso, l’”Apparato” si mostra ogni
giorno inadeguato, impreparato e ripiegato su se stesso e sulle proprie chiacchiere,
eppure chiaramente intento a mantenere a qualunque costo il controllo dei
propri privilegi.
E’ certo, che se l’”esempio viene
dall’alto”, nessuno si fida più di nessuno e, di conseguenza diventa illusorio
aspettarsi che si agisca di comune accordo per fare quei sacrifici che sembrano
necessari per riequilibrare il “patto generazionale” e rimettere in piedi
l’economia. Dunque, chi può permetterselo aspetta al palo, ben conscio che,
così facendo la situazione peggiorerà ulteriormente ma contando sul fatto che, alla
fine, saranno quelli più esposti che dovranno muoversi (incrociando le dita nel
timore di essere fra questi!).
In sintesi, è chiaro a molti che
si dovrebbero trovare nuove risorse per favorire la creazione di posti di
lavoro, dall’altra parte, a meno di essere fan viscerali della “Teoria Monetaria
Moderna”, è pure evidente che non si può agire ulteriormente sui disavanzi (tentazione che sta nuovamente riemergendo nella nostra classe politica!) ,
infatti, il sistema finanziario internazionale non vedrebbe di buon occhio un visibile
peggioramento dei conti pubblici (per altro, pure il buon senso dovrebbe
ritenere poco auspicabile tutto ciò!). Rimarrebbe quindi da praticare la via
dell’efficienza: investimenti e riforme per favorire l’occupazione fronte di
tagli di sprechi e rendite ... la solita proposta che predicano un po’ tutti … e
che non viene mai applicata!
E qui si torna al clima di
sfiducia! Insomma, tutti si aspettano che le famose risorse da destinare allo
sviluppo alla fine emergano da una profonda riduzione dei costi della politica
e da un processo che renda più efficiente l’intera galassia della “cosa
pubblica”. Tutti, a torto o a ragione, pensano che, in quel buco nero ci siano
risorse in abbondanza alle quali attingere senza, per forza passare prima dalle
proprie tasche. In poche parole, quello che immagino passi nella testa della
gente è questo: “Prima comincino loro, poi, magari ci metto del mio!”.
Purtroppo, però, si costata continuamente che di tagli agli sprechi quando si
tratta di toccare il “parterre” della politica non se ne parla e, quando si
procede (posto che il risultato netto emerga veramente) questo è fatto con una
lentezza esasperante. In sette anni di crisi si sono perse centinaia di
migliaia di posti di lavoro, ma i nostri emeriti rappresentanti parlano per
mesi dei destini di una Camera vista da molti come ormai inutile (Il Senato)
che, comunque, non s’intende tagliare ma solo trasformare (non si voglia che la
politica perda anche solo “una poltrona”) sottraendola nello stesso tempo al
potere elettivo (“potere” si fa per dire!) dell’elettore. Quando si parla di
diminuire delle spese, i tagli da una parte ritornano nelle loro tasche per
altre vie (si veda ad esempio http://www.lavoce.info/wp-content/uploads/2014/07/bilancio-camera-ebook_finale-1.pdf,
oppure, http://www.lavoce.info/consiglio-regionale-piemonte-veneto-spesa-delle-regioni/
), mentre i quotidiano sono pieni di notizie delle loro ruberie, come nel caso
della nota “Rimborsopoli” piemontese, riguardante i rimborsi spese dei
consiglieri regionali e che si spingono
fino al furtarello di piccolo cabotaggio, come emerge dalle indagini
riguardanti i “gettoni di presenza
facili” da parte della Circoscrizione n°5 di Torino (circa 60 euro a gettone! Si
veda: http://torino.repubblica.it/cronaca/2014/02/10/news/torino_spese_pazze_nei_dieci_quartieri_inchiesta_su_rimborsi_e_gettoni_di_presenza-78211747/).
Nel frattempo, si parla da anni della giungla di enti inutili da chiudere senza
che si faccia nulla, mentre, almeno a me, non risulta che si sia mai stai
capaci di liquidare una fondazione bancaria (soluzione pro tempore pensata nel lontano 1992!). Figurarsi poi se qualcuno si
aspetta veramente che si trovi il tempo per mettere mano a riforme serie (che
tutti auspicano e nessuno fa!), come quella che dovrebbe ripensare profondamente
l’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.
In sintesi, è chiarissimo che,
dove c’è una poltrona da tutelare, si ferma tutto a costo di affondare l’intero
Paese. Quindi che facciamo noi cittadini? … Aspettiamo, ovviamente!