Attraverso l’analisi delle
carriere di un’ottantina d’intellettuali che aderirono al nazismo e militarono
attivamente nelle SS, l’Autore cerca di illustrare le motivazioni, il modo di
pensare e il retroterra culturale che spinse questi uomini ad aderire al
programma e a promuovere la politica di dominio e di annientamento del terzo
Reich. In moltissimi casi si parla di soggetti che parteciparono in prima
persona, attraverso la militanza e, spesso la direzione dei diversi Einsatzgruppen (“unità operative”), alla
messa in opera del famigerato Generalplan
Ost, un progetto ispirato direttamente da Hitler e incentrato su un
programma di sostanziale pulizia etnica finalizzato alla realizzazione delle
relazioni etnografiche nei territori occupati dell’Europa orientale. In
sintesi, molti dei soggetti studiati nel corso del saggio furono i diretti
responsabili della messa in atto della politica di genocidio attuata nei
confronti delle diverse etnie slave, degli zingari e degli ebrei e, spessissimo,
in base alle testimonianze e prove raccolte, essi parteciparono personalmente
agli eccidi.
Che cosa porta gli uomini e, in
particolare, degli intellettuali a comportarsi così, si chiede l’Autore? La
risposta non è né semplice né tranquillizzante. In particolare è esclusa
immediatamente l’ipotesi che questi soggetti fossero in qualche modo dei pazzi,
dei malati oppure dei semplici esaltati. Nella maggior parte dei casi si trattò
di persone “normali” che, in più di un caso, dopo la guerra tornarono “tranquillamente”
alla vita civile. La spiegazione va dunque ricercata nel particolare clima
culturale che essi introiettarono nell’infanzia, nell’adolescenza e durante la
loro formazione culturale avvenuta fra le due guerre mondiali. Fu dunque,
probabilmente, un insieme di fattori culturali, storici, sociali e politici la
molla che spinse buona parte della nazione tedesca e, in particolare anche una
grossa fetta dell’insieme più colto della popolazione, ad aderire al nazismo, ivi
compresi anche gli aspetti più disumani di tale ideologia. Le cause di questo
perverso ma non irripetibile clima culturale vanno ricercate lontano. Contarono
certamente alcune forti ragioni geopolitiche e sociali: dalla sindrome di
accerchiamento che già assillava la nazione tedesca prima della Grande Guerra, al
susseguente shock della sconfitta e alla naturale reazione contro le aspre ed
anche ingiuste condizioni di pace, alle occupazioni territoriali e al caos
creatosi nell’immediato dopoguerra. A questo si aggiunge un clima culturale come
ad esempio quello promosso da parte del movimento völkisch, che da lungo tempo si basava su forme più o meno
striscianti di razzismo e s’incentrava su un’interpretazione etnica e
nazionalistica della storia. A tutto ciò si deve aggiungere l’effetto dell’ideologia
martellante tesa a demonizzare l’avversario, l’asprezza del conflitto e,
ovviamente, una buona dose di debolezza umana.
Tutti questi fattori sono tutt’altro
che irripetibili, magari supportati da contesti diversi e mix di fattori
differenti; e, forse proprio l’avvertimento sotteso a questa costatazione
costituisce il messaggio e la morale di questo bel saggio.
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