mercoledì 25 giugno 2014

Recensione: Credere, Distruggere - Gli Intellettuali delle SS

“Credere, Distruggere - Gli Intellettuali delle SS”, titolo originale: “Croire et Déstruire. Les intellectuels dans la machine de guerre SS”, di Christian Ingrao, traduzione di Federico Marchetti e Frédéric Ieva, editrice Einaudi, ISBN: 978-88-06-20884-4.

Attraverso l’analisi delle carriere di un’ottantina d’intellettuali che aderirono al nazismo e militarono attivamente nelle SS, l’Autore cerca di illustrare le motivazioni, il modo di pensare e il retroterra culturale che spinse questi uomini ad aderire al programma e a promuovere la politica di dominio e di annientamento del terzo Reich. In moltissimi casi si parla di soggetti che parteciparono in prima persona, attraverso la militanza e, spesso la direzione dei diversi Einsatzgruppen (“unità operative”), alla messa in opera del famigerato Generalplan Ost, un progetto ispirato direttamente da Hitler e incentrato su un programma di sostanziale pulizia etnica finalizzato alla realizzazione delle relazioni etnografiche nei territori occupati dell’Europa orientale. In sintesi, molti dei soggetti studiati nel corso del saggio furono i diretti responsabili della messa in atto della politica di genocidio attuata nei confronti delle diverse etnie slave, degli zingari e degli ebrei e, spessissimo, in base alle testimonianze e prove raccolte, essi parteciparono personalmente agli eccidi.
Che cosa porta gli uomini e, in particolare, degli intellettuali a comportarsi così, si chiede l’Autore? La risposta non è né semplice né tranquillizzante. In particolare è esclusa immediatamente l’ipotesi che questi soggetti fossero in qualche modo dei pazzi, dei malati oppure dei semplici esaltati. Nella maggior parte dei casi si trattò di persone “normali” che, in più di un caso, dopo la guerra tornarono “tranquillamente” alla vita civile. La spiegazione va dunque ricercata nel particolare clima culturale che essi introiettarono nell’infanzia, nell’adolescenza e durante la loro formazione culturale avvenuta fra le due guerre mondiali. Fu dunque, probabilmente, un insieme di fattori culturali, storici, sociali e politici la molla che spinse buona parte della nazione tedesca e, in particolare anche una grossa fetta dell’insieme più colto della popolazione, ad aderire al nazismo, ivi compresi anche gli aspetti più disumani di tale ideologia. Le cause di questo perverso ma non irripetibile clima culturale vanno ricercate lontano. Contarono certamente alcune forti ragioni geopolitiche e sociali: dalla sindrome di accerchiamento che già assillava la nazione tedesca prima della Grande Guerra, al susseguente shock della sconfitta e alla naturale reazione contro le aspre ed anche ingiuste condizioni di pace, alle occupazioni territoriali e al caos creatosi nell’immediato dopoguerra. A questo si aggiunge un clima culturale come ad esempio quello promosso da parte del movimento völkisch, che da lungo tempo si basava su forme più o meno striscianti di razzismo e s’incentrava su un’interpretazione etnica e nazionalistica della storia. A tutto ciò si deve aggiungere l’effetto dell’ideologia martellante tesa a demonizzare l’avversario, l’asprezza del conflitto e, ovviamente, una buona dose di debolezza umana.
Tutti questi fattori sono tutt’altro che irripetibili, magari supportati da contesti diversi e mix di fattori differenti; e, forse proprio l’avvertimento sotteso a questa costatazione costituisce il messaggio e la morale di questo bel saggio.

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