“Nebbia”, di Ivano Mingotti, editrice Ded’a, ISBN: 9788896121917.
La storia si svolge a Beaumont,
un piccolo villaggio semi isolato fra le montagne, poche decine di case, una
sola strada che lo collega a una vallata. La vita a Beaumont è quella tipica
dei paesini, tutti si conoscono, tutti sanno tutto di tutti e le giornate
tirano avanti una dietro l’altra, lente, noiose e ripetitive. Pure il clima non
aiuta, Beaumont sembra sempre avvolta nella nebbia. Eppure in questo paese
qualcosa non quadra tutto appare un po’ sfuocato e nello stesso tempo
soffocante. Soprattutto, a Beaumont la gente sparisce nel nulla senza fare più
ritorno, senza lasciare tracce e, stranamente, senza destare particolari
emozioni nei compaesani a parte un certo rassegnato fatalismo.
Ci vorrà un evento straordinario
per spingere alcuni dei protagonisti a cercare di chiarire il mistero di queste
strane sparizioni e nel frattempo per spiegare la strana atmosfera surreale che
aleggia sul paese e sui suoi abitanti.
Ho ricevuto questo romanzo in
maniera un po’ casuale attraverso il network di Anobii; tra l’altro, devo
ammettere che non sono particolarmente amante del genere thriller e, soprattutto,
ultimamente leggo quasi esclusivamente opere di saggistica alternate a qualche
classico della letteratura. Non mi ritengo quindi il soggetto più adatto per
esprimere giudizi riguardo alla validità di questo romanzo che, probabilmente,
non avrebbe attratto la mia attenzione in libreria. Fatta questa lunga e
doverosa premessa, penso che l’Autore sia partito da un’ottima idea e che l’abbia
poi sviluppata abbastanza bene. Alla fine il romanzo mi è piaciuto abbastanza,
soprattutto perché mi è apparsa curiosa almeno quanto mi abbia lasciato
perplesso, la scelta stilistica dell’Autore, coraggiosa ma, infine anche
abusata. Il romanzo si svolge attraverso una serie di anafore senza fine, tanto
da diventare fastidiose, frasi corte, ritmo sincopato, clima claustrofobico e
ossessivo. Penso che questo tipo di effetto fosse desiderato dall’Autore ma,
per me, ha esagerato e avrebbe dovuto alternare queste parti che, a piccole
dosi sarebbero state molto efficaci, con altre di stile più classico dove, tra
l’altro, egli avrebbe potuto dimostrare di saper descrivere davvero sia i
luoghi sia i personaggi, entrambi lasciati, forse volutamente, senza spessore.
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