martedì 10 settembre 2013

IMU e Service Tax: I soliti pasticci


La questione della tassa patrimoniale sulla prima casa evidentemente tocca qualche corda profonda nella psiche degli italiani (e non solo il portafoglio :-)). A mio avviso, infatti, riguardo a questo argomento si dimostrano totalmente irrazionali. Chiaramente, bisogna innanzi tutto tenere presente che il tema non è, almeno nel breve periodo, legato al livello globale dell’imposizione fiscale. Infatti, se da una parte è riconosciuto che il sistema faccia ormai fatica a digerire ogni nuovo incremento della pressione fiscale, dall’altra, è noto che il gettito dell’IMU dovrà essere sostituito, nella sostanza, da qualche nuovo tributo o dall’incremento di quelli esistenti. 
Personalmente, non riesco a capire come aumenti di imposta che colpiscano altri aspetti e settori possano sembrare preferibili. Sicuramente, non mi sembra che un ulteriore aumento dell’IVA sia auspicabile, non solo perché tale intervento finirebbe per essere fiscalmente regressivo nei confronti dei redditi più bassi, ma soprattutto perché si configurerebbe come un ulteriore incentivo all’evasione fiscale, mentre la tanto decantata “Service Tax” sembra studiata a tavolino più che altro per superare le difficoltà degli enti locali nel sopperire alla mancanza di gettito causato dalla soppressione dell’IMU e non certo per gestire le cose con maggiore efficienza. A questo proposito, posto che si parla di un’imposta sui servizi, cosa servirebbe, per esempio, permettere ai Comuni di fissare l’aliquota d’imposta della nuova tassa (TASI) in base alla rendita catastale? A onor del vero, il decreto prevede anche la possibilità di rifarsi al criterio della “superficie” occupata, ma, se il principio che sorregge la nuova imposintrodotto deve essere quello previsto dalle norme europee secondo le quali: “chi inquina, paga!”, tutto ciò non avrebbe alcun nesso con l’aliquota catastale e neppure, entro certi limiti, con la superficie degli stabili!
Certo, l’IMU si era dimostrata in parte iniqua, frutto più di un’operazione che aveva lo scopo di sopperire alle esigenze di cassa di breve periodo rispetto a quanto fosse pensata per riequilibrare le diverse fonti impositive; andava sicuramente ricalibrata tenendo conto del livello dei redditi (sarebbe bastato prevedere qualche forma di detraibilità in capo alla dichiarazione dei redditi!) e del numero dei famigliari, ma soprattutto, avrebbe dovuto basarsi su un sistema di rendite catastali efficiente che riflettesse le situazioni locali e gli effetti della crisi immobiliare. Detto ciò, però, il principio era giusto ed anche rispettoso dei tanto strombazzati (solo demagogicamente!), programmi di localizzazione delle risorse e federalismo fiscale.
Siamo dunque di fronte al solito italico pasticcio che, purtroppo, riflette la mancanza di responsabilità di buona parte della classe politica che continua a preferire gli slogan elettorali ad una seria opera di riforma.

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