La questione della tassa
patrimoniale sulla prima casa evidentemente tocca qualche corda profonda nella psiche degli italiani (e non solo il portafoglio :-)). A mio avviso, infatti, riguardo a questo argomento si dimostrano totalmente irrazionali. Chiaramente, bisogna innanzi tutto tenere presente che il tema non
è, almeno nel breve periodo, legato al livello globale dell’imposizione
fiscale. Infatti, se da una parte è riconosciuto che il sistema faccia ormai
fatica a digerire ogni nuovo incremento della pressione fiscale, dall’altra, è
noto che il gettito dell’IMU dovrà essere sostituito, nella sostanza, da
qualche nuovo tributo o dall’incremento di quelli esistenti.
Personalmente, non riesco a capire come
aumenti di imposta che colpiscano altri aspetti e settori possano sembrare
preferibili. Sicuramente, non mi sembra che un ulteriore aumento dell’IVA sia
auspicabile, non solo perché tale intervento finirebbe per essere fiscalmente
regressivo nei confronti dei redditi più bassi, ma soprattutto perché si
configurerebbe come un ulteriore incentivo all’evasione fiscale, mentre la
tanto decantata “Service Tax” sembra studiata a tavolino più che altro per
superare le difficoltà degli enti locali nel sopperire alla mancanza di gettito
causato dalla soppressione dell’IMU e non certo per gestire le cose con
maggiore efficienza. A questo proposito, posto che si parla di un’imposta sui
servizi, cosa servirebbe, per esempio, permettere ai Comuni di fissare
l’aliquota d’imposta della nuova tassa (TASI) in base alla rendita catastale? A
onor del vero, il decreto prevede anche la possibilità di rifarsi al criterio
della “superficie” occupata, ma, se il principio che sorregge la nuova imposintrodotto
deve essere quello previsto dalle norme europee secondo le quali: “chi inquina,
paga!”, tutto ciò non avrebbe alcun nesso con l’aliquota catastale e neppure,
entro certi limiti, con la superficie degli stabili!
Certo, l’IMU si era dimostrata in
parte iniqua, frutto più di un’operazione che aveva lo scopo di sopperire alle esigenze
di cassa di breve periodo rispetto a quanto fosse pensata per riequilibrare le
diverse fonti impositive; andava sicuramente ricalibrata tenendo conto del
livello dei redditi (sarebbe bastato prevedere qualche forma di detraibilità in
capo alla dichiarazione dei redditi!) e del numero dei famigliari, ma
soprattutto, avrebbe dovuto basarsi su un sistema di rendite catastali
efficiente che riflettesse le situazioni locali e gli effetti della crisi
immobiliare. Detto ciò, però, il principio era giusto ed anche rispettoso dei
tanto strombazzati (solo demagogicamente!), programmi di localizzazione delle
risorse e federalismo fiscale.
Siamo dunque di fronte al solito
italico pasticcio che, purtroppo, riflette la mancanza di responsabilità di
buona parte della classe politica che continua a preferire gli slogan elettorali
ad una seria opera di riforma.
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