domenica 19 agosto 2012

Recensione: La Scienza del Male – L’empatia e le Origini della Crudeltà

“La Scienza del Male – L’empatia e le Origini della Crudeltà”, titolo originale: “The Science of Evil”, di Simon Baron-Cohen, traduzione di Gianbruno Guerrerio, edizioni Raffaello Cortina, ISBN 978-88-6030-469-8.

Che cos’è e da dove viene la malvagità? E’ possibile evitare di fare ricorso a cause metafisiche e a spiegazioni religiose fornendo una definizione scientifica di Male riguardo all’agire degli esseri umani?
Ricorrendo al concetto di empatia l’Autore, insegnante di psicopatologia e psicologia e specialista nello studio dell’autismo, propone una tesi molto promettente per venire a capo del problema. L’empatia è un concetto che può essere definito come la “Capacità di un individuo di comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d'animo di un'altra persona”. Baron-Cohen fornisce una definizione analoga ma più incentrata sugli studi medici e psicologici: “C’è empatia quando smettiamo di focalizzare la nostra attenzione in modo univoco (single-minded), per adottare invece un tipo di attenzione “doppia” (double-minded) ”, in sintesi, questo avviene quando si smette di considerare esclusivamente il proprio punto di vista e interesse per sforzarsi di immedesimarsi in quello degli altri. Al contrario, la mancanza di empatia s’individua nella tendenza a considerare gli altri soggetti (umani e non!) con i quali si entra in relazione come semplici oggetti “inanimati” e, proprio attraverso questo processo di spersonalizzazione, diventa più facile infliggere il dolore, manipolare e usare le altre persone.
Da cosa dipende però il livello d’empatia di ogni essere umano? In quali aree cerebrali risiede la maggiore o minore capacità empatica? L’Autore affronta entrambi gli interrogativi spiegando che il livello medio di empatia di ogni essere umano e le sue fluttuazioni dipendono da una complessa combinazione di fattori genetici e ambientali che tendono a influenzare permanentemente o episodicamente il livello di funzionamento di un’estesa zona cerebrale che costituisce il “circuito dell’empatia”. Le esperienze fatte fin dalla fase neonatale, i traumi e gli abusi subiti possono essere importanti ai fini dello sviluppo di tali aree cerebrali; i soggetti “affetti” da un livello zero-negativo di empatia (i potenziali “malvagi”), fra i quali lo studioso colloca: narcisisti, psicopatici e borderline, sono spesso caratterizzati dal sottosviluppo o dal sottoutilizzo di alcune di queste aree. Anche i fattori genetici, però, appaiono rilevanti com’è dimostrato dagli studi effettuati su quelle categorie di soggetti che l’Autore colloca fra i cosiddetti “zero-positivi” (sindrome di Asperger e autistici comuni) per i quali, seppur in sostanziale assenza di capacità empatiche non si sviluppa la propensione a danneggiare gli altri. Tra l’altro, per me curiosamente, ma, a ben pensare molto logicamente, pare che i soggetti zero-positivi tendano a essere “immunizzati” contro la malvagità, grazie alla loro naturale attitudine, spiccatamente matematica, a “sistematizzare”, cioè a ricercare un rigoroso ordine naturale nell’ambiente che li circonda.
Eppure, nota lo stesso l’Autore, tutte queste spiegazioni non sono ancora sufficienti, infatti, gli individui che sono biologicamente collocabili ai livelli inferiori della curva dell’empatia, sono percentualmente una minoranza rispetto alla maggioranza della popolazione che, per definizione, si colloca invece su livelli medi. Pertanto, bassi livelli fisiologici di empatia possono contribuire a spiegare singoli casi di disadattamento o di violenza e trovano effettiva conferma nell’analisi dei casi di suicidio o nelle statistiche delle caratteristiche della popolazione carceraria, ma non riescono a spiegare il fenomeno della malvagità di massa. Per fare luce su tali fenomeni bisogna introdurre altri elementi, ad esempio, la tendenza al “Conformismo” come dimostrato dagli esperimenti di Solomon Asch (dove le persone affermavano che una linea era più lunga di un’altra andando clamorosamente contro l’evidenza dei sensi solo per adeguarsi al giudizio generale), oppure l’”ubbidienza all’autorità” come evidenziato nei noti casi dell’esperimento di Philip Zimbardo della “prigione di Stanford” (dove un gruppo di studenti fu suddiviso fra “guardie” e “ladri” facendo scattare l’istinto di prevaricazione dei primi sui secondi), oppure ancora l’esperimento di Stanley Milgram (dove i partecipanti erano indotti a credere di punire, anche in caso di errori banali, altri soggetti infliggendogli scosse elettriche progressivamente sempre più potenti), fino alle riflessioni sulla “banalità del Male” fatte da Hannah Arendt a seguito del processo al noto criminale nazista Adolf Eichmann. Riguardo a queste problematiche, probabilmente l’empatia di base non basta a spiegare tutto, mentre entrano in gioco moltissimi altri aspetti e variabili e, dal punto di vista dei soggetti implicati, anche la volontà o l’incapacità di valutare le conseguenze delle proprie azioni in modo più profondo. A questo proposito nel libro di Baron-Cohen è citata una catena di eventi indicativa che vale la pena di riportare:
- Persona A: Nel mio municipio avevo semplicemente l’elenco degli ebrei. Non feci delle retate di ebrei, ma passai l’elenco quando mi fu richiesto.
- Persona B: Mi fu chiesto di andare a quegli indirizzi, arrestare quelle persone e portarle alla stazione dei treni. Questo è tutto quello che feci.
- Persona C: Il mio lavoro era quello di aprire le porte dei treni, solo quello.
- Persona D: Il mio lavoro era far salire i prigionieri sul treno.
- Persona E: Il mio lavoro consisteva nel chiudere le porte dei treni, non nel chiedere dove il treno era diretto e perché.
- Persona F: il mio lavoro consisteva semplicemente nel guidare il treno.
- …
- Persona Z: il mio lavoro consisteva semplicemente nell’aprire i rubinetti delle docce da cui veniva emesso il gas.

Verosimilmente, ognuno dei singoli passaggi evidenziati non furono compiuti da soggetti patologicamente afflitti da un grado insolitamente basso di empatia, al contrario, l’esempio vuole mettere tutti in guardia rispetto alla capacità di ognuno di noi di compiere singole azioni non empatiche le cui conseguenze possono portare lontano in termini di malvagità.

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