venerdì 17 agosto 2012

Alcune considerazioni sull'ultimo libro dell'economista Paul Krugman: “Fuori da questa crisi, adesso!”

“Fuori da questa crisi, adesso!” del nobel dell’economia Paul Krugman, ha il pregio di andare direttamente e senza mezzi termini al nocciolo della questione: ha senso affrontare una crisi economica di questo tipo, che ha più di un’affinità con la Grande Depressione attuando manovre di austerità? L’Autore ricorda che Il modello classico keynesiano prevedrebbe in questo caso una politica di spesa espansiva da parte dei governi e fa notare come, proprio questo genere d’intereventi possa senza dubbio spiegare la ripresa americana avvenuta nel corso della Seconda Guerra Mondiale e poi proseguita lungamente nel corso del dopoguerra. Dall’altra parte, nonostante che il nobel dell’economia tenda a minimizzare gli effetti pratici e psicologici dell’aumento dei disavanzi statali, si contrappone uno scenario politico, finanziario ed economico che sembra impedire de facto il proseguimento di tali interventi almeno per quei paesi che appartengono all’area dell’euro e che non hanno più, singolarmente, il completo controllo della loro politica monetaria. Il problema sembra dunque avvitarsi in un tipico circolo vizioso; seguendo un approccio onesto alle teorie economiche, la crescita della spesa pubblica sarebbe la soluzione logica alla crisi per sopperire alla mancanza di spesa del settore privato ma, sostanzialmente, tale intervento appare improponibile perché un’ulteriore crescita dei disavanzi è vista come inaccettabile dai mercati finanziari la cui approvazione è necessaria per la sottoscrizione del debito in scadenza, nello stesso tempo le banche centrali europee (e, indirettamente, i governi) che controllano le autorità monetarie dell’unione (in questo caso la BCE) non sono ancora riuscite a mettersi d’accordo riguardo a un programma di sottoscrizione di debito pubblico di quei paesi che sono maggiormente in difficoltà. In conclusione, proprio la necessità di rendere le proprie emissioni “attraenti” costringe i singoli Stati a una politica di austerità incentrata sul rigore. Nel frattempo, prendendo spunto dalla crisi e approfittando della disoccupazione crescente, parte dell’elite economica, politica e finanziaria spinge a riformare in senso restrittivo tutto il sistema di previdenza e di contrattualistica del mercato del lavoro. Alla fine, dietro i problemi economici fanno capolino quelli politici e direi persino culturali. Krugman invoca riforme che richiamano le cure messe in atto durante la Grande Depressione, ma si dimentica che né in Italia né negli altri paesi occidentali sembrano profilarsi figure di politici carismatici quali furono Herbert Hoover (che pure essendo repubblicano aumento le imposte sulle imprese e le aliquote fiscali massime dal 25% al 63%) e soprattutto Franklin D. Roosevelt. Questi personaggi ricordiamolo, imposero delle ricette inedite seguendo una loro visione delle cose, andando spesso contro il parere dei sedicenti esperti e, soprattutto, opponendosi (e non favorendo) le principali elite finanziarie ed economiche del paese (che spesso tacciarono Roosevelt, i suoi esperti e i programmi federali di “Comunismo”), lo fecero grazie ad un largo seguito popolare, ma con una certa “prepotenza” (e più di una scorrettezza) che spesso si confuse con l’autoritarismo (per altro allora dilagante in forme molto più perverse anche in Europa e in Russia). Per quanto ci riguarda, non mi sembra che, guardando al panorama italiano, siano disponibili soggetti di tale fatta, al più sembra che si possa contare su alcuni soggetti indubbiamente competenti (come il nostro attuale premier Monti) ma sicuramente legati alle visioni tradizionali dell’economia, quando non proprio in conflitto fra i propri interessi di ceto e quelli della maggior parte della popolazione. Nel nostro caso poi, a parer mio, l’esecutivo è tutt’altro che “amato” e supportato dalle camere (che sono ancora l’espressione della nostra classe politica precedente) che al più lo sopportano in attesa che tolga loro quelle castagne dal fuoco che loro non saprebbero cavare per incompetenza (hanno avuto vent'anni per provarci!), per la scarsa considerazione che ha di loro la comunità finanziaria, o che, soprattutto, (qualora si continui a seguire le ricette tradizionali) implicherebbero da loro scelte che sarebbero invise all’elettorato. Forse, neppure l’opinione pubblica sembra considerare l’attuale Governo molto più che un male necessario che produrrà il solito "lacrime e sangue". Non penso quindi che, in questa situazione, ci si possa permettere soluzioni che escano dal seminato di ciò che è considerato possibile e auspicabile da quei “Very serious people” che Krugman stigmatizza con ironia. Dunque, a meno di improvvise illuminazioni dei nostri VSP che possano cambiare le possibili opzioni economiche a disposizione, ci tocca sperare in un miracolo da parte della politica. Forse una nuova legge elettorale che sia meno indecente di quella attuale ci regalerà il prossimo “uomo del destino”?

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.