I vari movimenti separatisti che
mettono a repentaglio l’unità degli Stati nazionali sono da una parte una
tardiva vendetta della storia, dall'altra frutto essenzialmente di una visione
miope e a corto termine dell’attuale situazione politica e socio economica. Gli
errori sono un po’ da distribuirsi nel campo di tutte le istituzioni sia che
esse siano locali, nazionali e, persino europee.
Gli Stati nazionali si sono spesso formati a
seguito di violente politiche di annessione e assimilazione del tutto
irrispettose delle differenze culturali ed economiche dei territori che
venivano mano a mano aggregati. Però, per lustri quando non per secoli, la potenza
relativa conseguita dal processo di unificazione è stata anch'essa una garanzia
contro le mire di annessione di altri vicini, magari ancora più “alieni” di
quelli appartenenti alle élite nazionali dominanti. Vi erano poi una serie di
fattori economici legati alla necessità di appropriarsi del controllo di
risorse naturali e delle rotte commerciali che richiedevano l’assunzione di una
certa taglia; in sintesi, se non eri grosso non potevi contare!
La vendetta della storia si è resa
possibile, paradossalmente a seguito del lungo periodo di pace e di prosperità
inter europea, ma anche, grazie all’“ordine” mondiale (garantito in sostanza
dagli USA) e al liberismo economico (voluto dalle élite economiche) attualmente
necessario a garantire le condizioni della cosiddetta “globalizzazione”; in
questo momento storico le merci circolano, le risorse si comprano, i mercati sono
aperti e non è quindi necessario controllare direttamente ampie porzioni di territorio
con presenze militari e burocratiche ingombranti o svilupparne le
infrastrutture direttamente, meglio anzi lasciar fare questo lavoro alle élite
locali.
Così, apparentemente a seguito di
un ragionamento “vincente”, porzioni territoriali, sostanzialmente irrilevanti
come singole entità autonome, ma magari ricche di qualche (spesso momentanea)
eccellenza e che in passato, data la piccola taglia sarebbero state subito
oggetto di contesa di “qualcun altro”, si sono divise dal loro corpo comune (territori
ex sovietici, Jugoslavia, Cecoslovacchia), ed altre hanno in animo di fare lo
stesso. Ciò avviene, in estrema sintesi, perché si sono indebolite le politiche
di controllo interno degli stati nazionali (o delle “false” federazioni) e perché
è cessata l’esigenza di fare politica di potenza e fronte comune contro le
minacce esterne.
In Europa il fenomeno sembra in
crescita sia perché da tempo l’area è ragionevolmente tranquilla ma anche a
seguito di una mancanza legata al processo di formazione dell’Unione, purtroppo
rimasto incompiuto e sbilanciato sul piano politico. In effetti, su questo
piano l’Unione Europea e un’istituzione senza senso e senza vocazione perché non
è riuscita a farsi attribuire quei poteri (es., politica estera e difesa) che
giustificano la sua esistenza come sovrastruttura a garanzia delle differenze
locali e, dall’altra parte, in virtù della sua esistenza e del suo illusorio
ombrello unitario, essa ha contribuito a minare l’autorevolezza dei vari Stati
nazionali che la costituiscono.
In sintesi il “piccolo” oggi
pensa, magari anche con una certa ragione (ma anche con una grossa dose di
cinismo ed egoismo), di poter fare a meno della struttura nazionale intermedia perché
si illude che ci sia la “Grande Mamma” (la UE) a tutelare i suoi interessi e a
proteggerlo qualora fosse necessario … Grosso errore, penso io! Perché stante
la situazione attuale delle istituzioni europee questa potrebbe rivelarsi una
tragica illusione!
Soluzioni? Una proponibile si può
basare sul presupposto che non ha molto senso oggi mettere in discussione il
processo storico di formazione degli Stati nazionali; comunque essi si siano
formati, adesso ci sono, ed è inutile disintegrarli in nome di differenze e
rancori passati con lo scopo di “dissolversi” o “parcellizzarsi” in un illusorio
“più grande”. Dall’altra parte, fatto salvo un imprescindibile rapporto
mutualistico fra territori nazionali, gli organi centrali devono accettare di
delegare di più nei confronti delle periferie in modo da mantenere una coesione
basata sul consenso e sull'attuazione di sinergie (mi fa ridere a pensare
quanto possa essere temibile l’esercito catalano … o quello lombardo!) per
quelle strutture ove abbia un senso ricercarle.
Forse dunque, il modello di riferimento
potrebbe essere la confederazione svizzera.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.