“Stato e Anarchia”, di Michail Bakunin, titolo originale:”Государственность
и анархия” (wikipedia), traduzione di Nicole Vincileoni e Giovanni Corradini,
edizioni Feltrinelli, ISBN 978-88-07-88229-6.
Si tratta di un classico della
letteratura politica, scritto nella seconda metà del 1800 (venne pubblicato per
la prima volta in forma anonima nel 1873); in esso l’Autore propone la sua
visione rivoluzionaria che auspica e promuove una società totalmente
destrutturata, supportata dalla spinta aggregativa dal basso e sorretta da una
forte volontà federativa. Queste “società”, per Bakunin devono essere al di fuori
del controllo degli stati che, possibilmente, devono essere aboliti, come deve
essere eliminata ogni forma di gerarchia di sangue o di classe. Si tratta
quindi di applicare l’“anarchica” (anarchia = priva di leader/governante), in
esplicita contrapposizione con le organizzazioni statali e sociali costruite su
strutture gerarchiche e verticistiche e in antitesi ideologica rispetto al
clima dell’epoca che vedeva prevalere l’ideale nazionale e nazionalista
rispetto a posizioni maggiormente universaliste.
Un’opera che giudico molto
interessante, anche se, ammetto, mi aspettavo qualcosa di molto diverso. In
effetti l’Autore, in fondo, non si sofferma molto a spiegare nei dettagli la
sua idea. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che l’ideale anarchico, per quanto
accattivante, risulta per definizione un po' vago e caratterizzato da
molteplici interpretazioni e applicazioni che, tra l’altro, risultano difficili
da mettere in pratica.
La parte preponderante del saggio
è invece dedicata ad una pignola analisi della situazione europea del tardo
periodo ottocentesco. Insieme ad essa viene fornita, non solo una chiave di
lettura per spiegare le ragioni di successo o di insuccesso dei molti moti
insurrezionali che caratterizzarono il diciannovesimo secolo, ma anche una
serie di previsioni riguardo al futuro che, bisogna ammettere, si riveleranno
ex-post abbastanza azzeccate.
Nel saggio viene infatti
prefigurata la lotta per l’egemonia fra Stati che vedrà contrapporre la
nascente nazione tedesca alle altre potenze europee, Russia e Francia in testa.
Per l’Autore il protagonista
assoluto di tale ascesa è il cancelliere Otto Von Bismark, per carattere e
obiettivi, quasi l’opposto di Bakunin ma tuttavia da questi molto ammirato, non
fosse per altro che in virtù della coerenza mostrata in relazione al conseguimento
dei propri obiettivi politici. Bismark finirà per realizzare, come da suo
programma, uno stato germanico forte e centralizzato sotto la guida della
Prussia ... e ciò, in estrema sintesi, sarà uno dei fattori scatenanti di ben due
conflitti mondiali!
Altro elemento interessante che
emerge dal saggio è la consapevolezza della contrapposizione ideologica che
esiste fra l’ideale anarchico e il marxismo allora nascente e che finirà per
tradursi negli assetti politici e ideologici del “comunismo”. Bakunin individua
subito quello che per lui è il peccato originale di tale ideologia, cioè
l’obiettivo di creare la “dittatura del proletariato” sulle basi di una forte
gerarchia statale retta da una élite che si attribuisce il ruolo di decidere e
governare per il bene del popolo.
Bakunin non crede a questa
pretesa e la storia gli darà ragione.
Egli infatti, in estrema sintesi
sostiene due cose:
- Solo il popolo sa qual è il proprio “bene” e solo la sua libera iniziativa
dal basso può tradursi in realizzazioni pratiche finalizzate a conseguirlo.
- Nessun tipo di élite, per quanto ben intenzionata può
sostituirsi al popolo al fine di governarlo senza che questo finisca per
trasformarne i membri in una classe privilegiata e tirannica.
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