venerdì 3 marzo 2017

Recensione: Stato e Anarchia

“Stato e Anarchia”, di Michail Bakunin, titolo originale:”Государственность и анархия” (wikipedia), traduzione di Nicole Vincileoni e Giovanni Corradini, edizioni Feltrinelli, ISBN 978-88-07-88229-6.

Si tratta di un classico della letteratura politica, scritto nella seconda metà del 1800 (venne pubblicato per la prima volta in forma anonima nel 1873); in esso l’Autore propone la sua visione rivoluzionaria che auspica e promuove una società totalmente destrutturata, supportata dalla spinta aggregativa dal basso e sorretta da una forte volontà federativa. Queste “società”, per Bakunin devono essere al di fuori del controllo degli stati che, possibilmente, devono essere aboliti, come deve essere eliminata ogni forma di gerarchia di sangue o di classe. Si tratta quindi di applicare l’“anarchica” (anarchia = priva di leader/governante), in esplicita contrapposizione con le organizzazioni statali e sociali costruite su strutture gerarchiche e verticistiche e in antitesi ideologica rispetto al clima dell’epoca che vedeva prevalere l’ideale nazionale e nazionalista rispetto a posizioni maggiormente universaliste.

Un’opera che giudico molto interessante, anche se, ammetto, mi aspettavo qualcosa di molto diverso. In effetti l’Autore, in fondo, non si sofferma molto a spiegare nei dettagli la sua idea. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che l’ideale anarchico, per quanto accattivante, risulta per definizione un po' vago e caratterizzato da molteplici interpretazioni e applicazioni che, tra l’altro, risultano difficili da mettere in pratica.

La parte preponderante del saggio è invece dedicata ad una pignola analisi della situazione europea del tardo periodo ottocentesco. Insieme ad essa viene fornita, non solo una chiave di lettura per spiegare le ragioni di successo o di insuccesso dei molti moti insurrezionali che caratterizzarono il diciannovesimo secolo, ma anche una serie di previsioni riguardo al futuro che, bisogna ammettere, si riveleranno ex-post abbastanza azzeccate.

Nel saggio viene infatti prefigurata la lotta per l’egemonia fra Stati che vedrà contrapporre la nascente nazione tedesca alle altre potenze europee, Russia e Francia in testa.
Per l’Autore il protagonista assoluto di tale ascesa è il cancelliere Otto Von Bismark, per carattere e obiettivi, quasi l’opposto di Bakunin ma tuttavia da questi molto ammirato, non fosse per altro che in virtù della coerenza mostrata in relazione al conseguimento dei propri obiettivi politici. Bismark finirà per realizzare, come da suo programma, uno stato germanico forte e centralizzato sotto la guida della Prussia ... e ciò, in estrema sintesi, sarà uno dei fattori scatenanti di ben due conflitti mondiali!

Altro elemento interessante che emerge dal saggio è la consapevolezza della contrapposizione ideologica che esiste fra l’ideale anarchico e il marxismo allora nascente e che finirà per tradursi negli assetti politici e ideologici del “comunismo”. Bakunin individua subito quello che per lui è il peccato originale di tale ideologia, cioè l’obiettivo di creare la “dittatura del proletariato” sulle basi di una forte gerarchia statale retta da una élite che si attribuisce il ruolo di decidere e governare per il bene del popolo.

Bakunin non crede a questa pretesa e la storia gli darà ragione.


Egli infatti, in estrema sintesi sostiene due cose: 
- Solo il popolo sa qual è il proprio “bene” e solo la sua libera iniziativa dal basso può tradursi in realizzazioni pratiche finalizzate a conseguirlo.
- Nessun tipo di élite, per quanto ben intenzionata può sostituirsi al popolo al fine di governarlo senza che questo finisca per trasformarne i membri in una classe privilegiata e tirannica. 

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