venerdì 23 dicembre 2016

Recensione: Le otto montagne

“Le Otto Montagnei”, di Paolo Cognetti, edizioni Einaudi, ISBN 978-88-06-22672-5.

È la storia di un’amicizia che lega due coetanei appartenenti a due ambienti diversi, ma è anche il racconto di un rapporto padre-figlio un po’ problematico, in fondo, ruvido e poco comunicativo come le montagne che fanno da sfondo alla vicenda. Uno dei protagonisti è un cittadino, figlio di un genitore un po’ chiuso e, forse anche per questo innamorato della fatica fisica e della tensione agonistica necessaria per godersi l’asprezza tipica dell’alpe d’alta quota; il secondo è un montanaro, un marghé (margaro) che divide il suo tempo fra le malghe e le scorrerie nei boschi e fra le baite in rovina, testimoni di un mondo sempre più in abbandono. Due mondi contigui ma molto differenti, soprattutto nell’Italia degli anni ottanta (anche se in realtà, la storia sembra riflettere un periodo ancora meno recente, quello degli anni sessanta, dove effettivamente le due Italie, quella rurale e quella delle grandi città sembravano veramente due universi differenti). Il loro legame si sviluppa da bambini durante le vacanze estive e va avanti fra alti e bassi fino all’età matura, diventando via via più saldo e profondo.

Bel romanzo veramente, scorrevole e avvincente, anche se il finale risulta un po’ prevedibile e a me, personalmente, sgradito (ma come finire, sennò, un libro così?); in più, a ben vedere qualcosa della storia non quadra. Innanzi tutto, l’ambientazione; io ho avuto l’impressione che sarebbe stata più realistica inquadrandola qualche anno prima (almeno un decennio), questo però, in fondo non mi sembra importante; anche i caratteri dei personaggi, però, mi sono sembrati un po’ troppo netti e, a mio avviso, un po’ stereotipati. … Questo però per andare a cercare il pelo nell’uovo! Perché, ripeto, questo è un romanzo che vale la pena leggere.


Bella invece la montagna, non solo perché si tratta anche delle le “mie” montagne o, quantomeno, di luoghi che conosco abbastanza bene (Torino e il Canavese sono a due passi dal massiccio del Rosa!),  ma soprattutto perché essa viene presentata per quel che è, non solamente come un mondo idilliaco di bei paesaggi e natura, ma anche come luogo povero e desolato, inospitale, deserto, pietroso, gelido, pericoloso e potenzialmente ostile. Un posto estremo al confine con il cielo da dove scappare o ove rifugiarsi, comunque lontano da tutto ciò c’è di buono e cattivo nel nostro modo di vivere da cittadini; un altro mondo appunto, non necessariamente un mondo migliore.

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