“Il Terzo Reich al Potere: 1933 –
1939”, di Richard J. Evans, titolo originale: “The Third Reich in Power: 1933 –
1939”, traduzione di Alessio Catania, edizioni Mondadori, ISBN 978-88-04-51042-0.
Un’opera notevole che ricostruisce con
precisione gli anni in cui il nazismo prese è stabilizzò il potere sulla
nazione tedesca.
L’Autore approfondisce il contesto
storico, economico, sociale e ideologico che portarono il nazismo al potere e
ne permisero il suo consolidamento e mette in evidenza gli strumenti attraverso
i quali tutto ciò fu reso possibile.
Si tratta quindi di una lettura
interessantissima e che andrebbe meditata perché i fattori citati e combinati nel
corso del saggio non sono per nulla irripetibili e, con le dovute differenze,
ma a seguito di contesti simili, permetterebbero anche oggi l’instaurarsi di
regimi autoritari altrettanto pericolosi.
Per quanto riguarda il giudizio generale
su questo libro ci si può dunque fermare qui.
Da questo punto in poi volevo invece
aggiungere alcuni aspetti che hanno stuzzicato la mia curiosità rispetto a questo
dettagliato lavoro di ricostruzione. Li elenco in maniera incompleta e in
ordine sparso e avvertendo che questi elementi, di per sé, non sono per forza
da ritenere prevalenti rispetto ad altri all'interno dell’opera:
- Mi ha colpito il rovesciamento di alcuni
stereotipi che, ammetto, avevo in parte assimilato io stesso. In particolare,
pensavo che l’avvento del nazismo avesse dato una propulsione alla diffusione
della cultura scientifica. Scopro con stupore che, al contrario (ma in fondo
logicamente) il sistema scolastico, quello universitario e la ricerca
scientifica (a parte quella finalizzata agli scopi bellici) ebbero molto a
soffrire sotto il regime. In linea più generale, il nazismo era abbastanza
avverso agli intellettuali e a qualsiasi forma di modernismo, in questo caso, forse
ben più del fascismo. Questo valeva in particolare per tutte le forme di arte e
culturali ad eccezione forse per l’architettura monumentale.
- Pensavo che la burocrazia tedesca fosse più
efficiente della media, proprio perché improntata e finalizzata ad un tipo di
controllo totalitario. Anche su questo punto, pare che la verità fosse
assolutamente diversa e, tra l’altro, pare fossero molto alti i livelli di
inefficienza dovuti a pratiche di nepotismo e corruzione.
- Mi ha impressionato il contesto
culturale attraverso il quale prosperò il cosiddetto darwinismo sociale, che sicuramente
ebbe un ampio seguito almeno pan europeo (se non mondiale, essendo che non ne
erano immuni né gli Stati Uniti né il Giappone) e produsse effetti oggi difficilmente
comprensibili sulle politiche sanitarie e sulle pratiche eugenetiche portate
avanti in diversi paesi (alcuni dei quali “insospettabili”).
- Continuo a rimanere allibito di fronte
al fenomeno del “Culto della personalità”, ieri come oggi. Veramente in contesti
evoluti come quello della Germania (o anche in Italia!) ci sono persone che
credono e credettero al mito dell’infallibilità, all’uomo della Provvidenza. Nella
Germania hitleriana, questo aspetto assunse persino il rango di norma di legge!
Questo è un concetto che sfugge completamente alla mia mente di scettico.
- Per quanto ne conosca le radici storiche
e l’origine culturale, faccio fatica a comprendere appieno come possa aver
avuto presa un antisemitismo così radicale, soprattutto in un contesto come
quello tedesco dove la minoranza ebraica era ben integrata (contrariamente a
quanto avveniva in Polonia, per esempio). Più in generale, non riesco a
raccapezzarmi sul come si potesse veramente basare un’ideologia sul mito della “Razza”
(magari il concetto di “Civiltà” o “Cultura” lascerebbe più spazio in questo
senso!), concetto di per sé dogmatico, para-religioso e assolutamente privo di
consistenza scientifica, storica e, men che meno, biologica e archeologica.
In conclusione, c’è poco da fare! Confrontarsi
con l’ideologia nazista e sui tanti compromessi che implicò la sua accettazione
più o meno entusiasta, in altre parole, fare lo sforzo di identificarsi con il
popolo tedesco dell’epoca, ci costringe a riflettere sugli abissi di ignoranza
e sulla pusillanimità che alberga in ognuno di noi ma ci consente, forse, di
non rifare eventualmente i medesimi errori.
Mai come per i regimi nazifascisti trovo
valido il detto di George Santayana: “Coloro che non ricordano il passato sono
condannati a ripeterlo”, ad esso è necessario avvinghiarsi come ad un
valido ancoraggio in vista della tempesta.
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