“I Figli di Húrin”,
titolo originale: “Narn I Chin Hurin – The Tale of the Children of Húrin”, di J.R.R
Tolkien, traduzione di Caterina Ciuferri Bompiani, ISBN: 978-88-452-5961-6.
In questo romanzo l’Autore
recupera e riscrive uno dei capitoli del “Silmarillon”, la storia di “Túrin
Turambar”, figlio di Húrin, re e condottiero degli Edain (uomini) della casa di Hador. Il racconto amplia una parte
importante delle storie della “Prima Era” relativamente alle guerre del
Beleriand, una delle regioni della Terra di Mezzo e luogo dove è ambientato il
noto ciclo fantasy del “Signore Degli Anelli”, capolavoro del medesimo Autore.
La vicenda ruota
intorno alla maledizione che grava sulla discendenza di Húrin che finirà per
condizionare tragicamente la vita dei suoi famigliari e di quanti li
accompagnano, ed in particolare, quella del figlio Túrin e della sorella Niënor.
Il romanzo è veramente
bellissimo e, per me, la lettura di quest’opera ha avuto la capacità di
recuperare in pochi istanti le atmosfere da sogno e di intensa partecipazione che
mi aveva lasciato più di trent’anni fa la lettura dello splendido ciclo del “Signore
degli Anelli”. Per quanto mi riguarda, ottengo l’ennesima dimostrazione dell’eccezionalità
dell’opera di Tolkien, che non si applica solo alle singole opere, ma che viene
esaltata dall’impianto globale, dalla profondità e dalla vastità dell’intero
ciclo epico/fantasy da lui creato.
Per quanto riguarda “I
Figli di Hurin”, bisogna comunque tenere presente che lo stile vuole
volutamente recuperare il linguaggio epico, la teatralità della tragedia greca e
la metrica della saga e, pertanto, la trama, i fatti e la forma narrativa vanno
interpretati in questo contesto e non fermarsi all’apparenza, di una forma che,
vista in un’ottica contemporanea, può far sembrare datato il linguaggio del
racconto e il carattere dei personaggi.
Potrei anche
aggiungere che, letto in chiave moderna, con l’occhio di chi, permeato di
razionalismo, non crede alle maledizioni, la saga di Túrin, il suo
comportamento e le conseguenze che ne derivano a lui e a tutti coloro che gli
sono vicini, potrebbe apparire in tutt’altra luce da quella presentata dall’Autore.
Mi piace pensare che, forse, anche questa modalità di lettura insolita e
certamente non voluta da Tolkien, potrebbe risultare interessante e valevole di
qualche considerazione.
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