martedì 8 settembre 2015

Problema migranti: Analisi di un approccio discutibile


Problema migranti: Lavorano e fanno figli: così i migranti finanziano l'Europa _ Analisi di un approccio discutibile.

Dopo le aperture della Germania nei riguardi del problema relativo all’accoglienza dei profughi sembra cambiato il clima politico riguardo a questo tema che, effettivamente negli ultimi mesi ha raggiunto un certo livello di criticità e non sembra accennare ad arrestarsi. Non è ancora chiaro cosa abbia fatto cambiare il vento, forse la semplice impossibilità di arrestare il fenomeno senza poter ricorrere a metodi scopertamente antidemocratici, oppure a causa di ragioni più profonde di ordine politico, economico e/o demografico. In ogni caso, già si percepisce anche il mutamento di come il tema viene affrontato dai mezzi d’informazione che, dopo aver trattato la questione sottolineando più gli aspetti umanitari, il fenomeno dello sfruttamento e le frizioni che tali sommovimenti finiscono per creare presso i paesi di accoglienza, adesso cominciano a spostare il “tiro” sugli aspetti benefici e sulle opportunità positive che possiamo aspettarci da tale esodo.

Ad esempio, oggi su La Repubblica appare quest’articolo:


Che comincia a spiegare al “popolo” come il fenomeno dell’immigrazione, ben lungi dall’essere problematico deve essere visto come un’indispensabile opportunità da cogliere al fine di mantenere in adeguato equilibrio i nostro squilibrati e dissestati sistemi pensionistici, minati alla base da una popolazione locale sempre più senescente.

Non contesto, ed anzi condivido in parte queste argomentazioni. Esse, viste alla luce dell’attuale quadro normativo su cui si basa la nostra previdenza, mi sembrano assolutamente coerenti; mi permetto però di ironizzare sul fatto che tali ragioni avrebbero potuto anche essere fatte valere già molti mesi (se non anni) fa! E, pertanto, mi sorprende un po’ la coincidenza che esse appaiano solo adesso in tutta evidenza, proprio nel momento in cui la linea politica tende a cambiare se non, persino, a rovesciarsi!

Dunque, lasciamo stare per un attimo gli aspetti umanitari legati a questo fenomeno che, a parer mio, rimangono quelli veramente rilevanti sia sul piano etico sia su quello sociale e torniamo al messaggio: “L’apporto migratorio è fondamentale per la stabilità dei nostri conti pubblici”. Questo è probabilmente vero, a rigore, solo sulla base dello “status quo”, ovvero, solamente se si affronta il problema sulla base della sola demografia e della permanenza delle regole attuali evitando quindi di prendere in considerazione anche altri scenari che, ad esempio, implichino ulteriori modifiche dei nostri sistemi pensionistici e sanitari. Ci sarebbero infatti almeno due approcci diversi percorribili per risolvere il problema della stabilità dei conti relativamente a queste voci: il primo si basa sul tentativo di mantenere un rapporto equilibrato fra giovani attivi e anziani pensionati; il secondo renderebbe necessarie l’istituzione di nuove regole al fine di rompere (finalmente) l’attuale patto (sarebbe meglio dire “vincolo”!) generazionale che sta alla base dei nostri sistemi pensionistici. Questi ultimi nonostante la pressoché totale applicazione di sistemi contributivi, si basano ancora su metodi che, di fatto, erogano le pensioni correnti non con i frutti delle rendite e dei contributi maturati dai percipienti, ma con quanto versato dai futuri aventi diritto. In altre parole le pensioni attuali sono pagate con i contributi correnti di chi andrà in pensione a suo tempo e, il trattamento di questi ultimi sarà calcolato non come conseguenza di investimenti fatti con il proprio denaro (buoni o cattivi che essi siano!) ma in funzione di regole prestabilite che, tra l’altro, potrebbero sempre essere messe in discussione nel momento in cui il sistema non si “regga” (come è stato fatto spesso in passato)..Tutto ciò, non è tanto dovuto a questioni di mutualità ed equità quanto al perverso lascito delle gestioni allegre del passato. Pochi, ad esempio, si soffermano a porsi la seguente domanda: “Perché un sistema contributivo mi costringe ad andare in pensione solo ad una certa età e non quando ritengo di avere una rendita vitalizia sufficiente?” Bene! La ragione fondamentale di ciò è da ricercare in quanto esposto poco sopra.

Tornando a noi, se ci si basa sul primo approccio (quello basato sull’equilibrio demografico), come conseguenza si possono e si devono fare affermazioni come quella che segue e che è contenuta nel sottotitolo dell’articolo citato: “Per salvare le nostre pensioni servono 250 milioni di rifugiati entro il 2060. Ecco perché per gli economisti sono una risorsa”. Per seguire coerentemente questa strategia di lungo periodo però, si dovrebbero anche discutere una serie di questioni di fondo, che, invece, lasceremo (come sempre) da risolvere alle generazioni future. Ad esempio ne sottolineo solo alcune:

- Stiamo basandoci su un modello che implica una crescita demografica indefinita. Questo, infatti, a livello globale, mi sembra l’unico modo per garantire la permanenza di un certo rapporto fra nuove e vecchie generazioni anche per i secoli a venire. Siamo sicuri che questo sia un modello sostenibile? Non sarebbe invece più cautelativo cercare di immaginarsi sistemi che mantengano la propria efficienza anche in presenza di una crescita stagnante o negativa della popolazione o che, quantomeno, tengano in conto un’alterazione sensibile (che già sta avvenendo) fra gli equilibri generazionali all’interno della stessa?

- Stiamo anche sostenendo che tale popolazione crescente dovrà mantenere un elevato o almeno equilibrato tasso occupazionale. Siamo sicuri anche di questa affermazione? Tra l’altro, mi sembra che si dia anche per scontato che tale livello occupazionale riguardi posizioni di una certa qualità e stabilità, quantomeno, non certo minate alla base da aleatorietà, basse remunerazioni e precariato. Dove e come pensiamo di trovare tali ulteriori occasioni di occupazione nel prossimo futuro (e qui da noi nei nostri paesi!) sulla base di quanto possiamo vedere già oggi?

Si dà quindi per scontato che tutte queste soluzioni ce le darà il “progresso” anch’esso, ovviamente, destinato a proseguire indefinitamente e, soprattutto a un tasso adeguato per risolvere senza eccessive frizioni tutti questi problemi socio-eco-ambientali, Personalmente, invece, comincio a sospettare che il genere umano non abbia ancora capito che ormai non si può più permettere il “laissez faire” del passato e l'affidarsi alla futura provvidenza per la soluzione delle variabili lasciate indefinite; ormai, infatti, siamo troppo diffusi e invasivi per poterci permettere di evitare di pianificare le nostre scelte senza chiarire le modalità attraverso le quali pensiamo di risolvere i problemi, possibilmente, senza compromettere gli equilibri esistenti. Per esempio, mi sembra che anche una conoscenza solo approssimativa delle dinamiche demografiche in atto debba portare ad accettare che la crescita della popolazione umana a 11 miliardi attorno alla data convenzionale del 2050 sia ormai cosa fatta (salvo tragedie che nessuno vuole invocare al fine di alleggerire questo dato). Dunque ci toccherà gestire e possibilmente non subire passivamente questo fenomeno e, già da adesso, per esempio, bisognerebbe cominciare a chiedersi se è il caso di proseguire oltre con questo trend dopo tale data e come fare, eventualmente per invertire questa tendenza!

Detto in altre parole pensare che a lungo termine ci si possa veramente poggiare su organizzazioni e modelli socio-economici che diano per scontata e necessaria la crescita infinita di alcune variabili fondamentali come la popolazione, la crescita economica e quella occupazionale (che non sempre va al pari passo con la crescita economica!); o che necessitino, per costruzione, il mantenimento di certi rapporti fra le stesse (ad esempio, un certo rapporto fra giovani attivi e anziani assistiti) mi sembra, quantomeno, contro intuitivo.

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