domenica 3 maggio 2015

Recensioni: Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo


“Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo”, titolo originale: “Seventeen contradictions and the end of capitalism”, di David Harvey, traduzione di Virginio B. Sala, edizioni Feltrinelli, ISBN: 978-88-07-10509-8.
Dopo “L’enigma del capitale e il costo della sua sopravvivenza”, l’Autore si avventura in un’analisi delle contraddizioni che sussistono, a parer suo, nel sistema capitalistico, caratteristiche che, se proprio non sono necessariamente destinate a farlo soccombere, certamente costituiscono punti di debolezza intrinsechi al sistema e capaci di metterlo in crisi creando più o meno ampi cortocircuiti. Harvey individua diciassette di queste contraddizioni che possono intrecciarsi fra loro accentuando le rispettive tendenze distorsive.
Alcune derivano dalla stessa natura del sistema, senza di esse, secondo l’Autore il capitalismo non potrebbe sopravvivere o, non sarebbe tale, ma un’altra “Cosa”. Fra queste troviamo le tipiche dicotomia fra “Valore d’uso” e “Valore di scambio”, le diverse accezioni e definizioni del “Lavoro”, la sua necessaria “Mercificazione”, l’enfasi posta sulla “proprietà privata” e la necessità che esista uno “Stato capitalista” che l’incentivi e la protegga; ma anche la contrapposizione fra “Capitale” e “Lavoro” o, persino all’interno del primo, l’analisi della sua duplice natura che ne fa, da un lato un “Processo” di investimento, produzione e di progressiva svalutazione e dall’altro lo qualifica come una merce in sé, una “Cosa”, veicolo di accumulo di beni, denaro e ricchezza. Questi aspetti contraddittori finiscono per intrecciarsi e amplificarsi, forgiano e plasmano le nostre società ma tendono a accentuare le differenze e a creare momenti contraddittori: l’accentramento della ricchezza o la sempre più marcata efficienza produttiva, ad esempio, tendono a ridurre anziché ampliare la capacità di consumo; la concorrenza esasperata e l’abbattimento delle barriere geografiche si ritorcono contro quella parte di capitale che tende a rimanere immobilizzata e quindi intrappolata in luoghi precisi, oppure deprime i salari (e di conseguenza i consumi) più di quanto riesca a comprimere i costi; l’organizzazione e la sempre maggiore specializzazione del lavoro tende a creare forma di monopolismo professionale insieme, all’altro capo, a gravi forme di alienazione e incapacità a riqualificarsi; le cosiddette “Esternalità” minano gravemente l’equilibrio ambiente e tendono a dissolvere la coesione sociale …
C’è molto delle teorie marxiste nell’opera di Harvey ed egli, non cerca certo di mascherarlo ma semmai di recuperarne e sottolinearne gli aspetti innovativi. Marx, per molti, ha ancora una brutta fama e odora forse ancora troppo di “Cortina di ferro”, però, passato lo spauracchio del comunismo, forse varrebbe la pena di soffermarsi maggiormente per valutare un po’ più a mente fredda alcuni aspetti della sua opera d’analisi che, effettivamente, per aspetti consistenti continua a dimostrarsi attuale. Questo, in fondo, mi sembra l’obiettivo più o meno esplicito di alcuni economisti moderni (ad esempio T. Piketty ne “Il Capitale nel XXI° secolo) e non solo, perché in quest’opera di revisione forse troverebbero spazio anche riflessioni riguardo a affermazioni e previsioni che vengono dal passato e che dobbiamo ad icone del calibro di John Maynard Keynes e non certo a qualche circolo anarchico rivoluzionario. Cosa voleva dirci, infatti, il grande economista inglese quando scrisse e parlò delle “Economic Possibilities for our Grandchildren”?
 
Un difetto per quest’opera di Harvey? … Al di là dei contenuti senza dubbio interessanti, non ho trovato che la prosa si sia dimostrata “Appassionante”; detto in altre parole, un bel “Mattoncino” in molti suoi punti! … Anche su questi aspetti Marx fa capolino. J

 



 

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