“Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo”, titolo originale: “Seventeen contradictions and the end of capitalism”, di David Harvey, traduzione di Virginio B.
Sala, edizioni Feltrinelli, ISBN: 978-88-07-10509-8.
Dopo “L’enigma del capitale e il costo della sua sopravvivenza”, l’Autore
si avventura in un’analisi delle contraddizioni che sussistono, a parer suo,
nel sistema capitalistico, caratteristiche che, se proprio non sono
necessariamente destinate a farlo soccombere, certamente costituiscono punti di
debolezza intrinsechi al sistema e capaci di metterlo in crisi creando più o
meno ampi cortocircuiti. Harvey individua diciassette di queste contraddizioni
che possono intrecciarsi fra loro accentuando le rispettive tendenze distorsive.
Alcune derivano dalla stessa natura del sistema, senza di esse, secondo l’Autore
il capitalismo non potrebbe sopravvivere o, non sarebbe tale, ma un’altra “Cosa”.
Fra queste troviamo le tipiche dicotomia fra “Valore d’uso” e “Valore di
scambio”, le diverse accezioni e definizioni del “Lavoro”, la sua necessaria “Mercificazione”,
l’enfasi posta sulla “proprietà privata” e la necessità che esista uno “Stato
capitalista” che l’incentivi e la protegga; ma anche la contrapposizione fra “Capitale”
e “Lavoro” o, persino all’interno del primo, l’analisi della sua duplice natura
che ne fa, da un lato un “Processo” di investimento, produzione e di
progressiva svalutazione e dall’altro lo qualifica come una merce in sé, una “Cosa”,
veicolo di accumulo di beni, denaro e ricchezza. Questi aspetti contraddittori
finiscono per intrecciarsi e amplificarsi, forgiano e plasmano le nostre
società ma tendono a accentuare le differenze e a creare momenti contraddittori:
l’accentramento della ricchezza o la sempre più marcata efficienza produttiva,
ad esempio, tendono a ridurre anziché ampliare la capacità di consumo; la
concorrenza esasperata e l’abbattimento delle barriere geografiche si ritorcono
contro quella parte di capitale che tende a rimanere immobilizzata e quindi
intrappolata in luoghi precisi, oppure deprime i salari (e di conseguenza i
consumi) più di quanto riesca a comprimere i costi; l’organizzazione e la
sempre maggiore specializzazione del lavoro tende a creare forma di monopolismo
professionale insieme, all’altro capo, a gravi forme di alienazione e
incapacità a riqualificarsi; le cosiddette “Esternalità” minano gravemente l’equilibrio
ambiente e tendono a dissolvere la coesione sociale …
C’è molto delle teorie marxiste nell’opera
di Harvey ed egli, non cerca certo di mascherarlo ma semmai di recuperarne e
sottolinearne gli aspetti innovativi. Marx, per molti, ha ancora una brutta
fama e odora forse ancora troppo di “Cortina di ferro”, però, passato lo
spauracchio del comunismo, forse varrebbe la pena di soffermarsi maggiormente per
valutare un po’ più a mente fredda alcuni aspetti della sua opera d’analisi
che, effettivamente, per aspetti consistenti continua a dimostrarsi attuale.
Questo, in fondo, mi sembra l’obiettivo più o meno esplicito di alcuni
economisti moderni (ad esempio T. Piketty ne “Il Capitale nel XXI° secolo) e
non solo, perché in quest’opera di revisione forse troverebbero spazio anche riflessioni
riguardo a affermazioni e previsioni che vengono dal passato e che dobbiamo ad
icone del calibro di John Maynard Keynes e non certo a qualche circolo
anarchico rivoluzionario. Cosa voleva dirci, infatti, il grande economista
inglese quando scrisse e parlò delle “Economic Possibilities for our
Grandchildren”?
Un difetto per quest’opera di Harvey? … Al
di là dei contenuti senza dubbio interessanti, non ho trovato che la prosa si
sia dimostrata “Appassionante”; detto in altre parole, un bel “Mattoncino” in
molti suoi punti! … Anche su questi aspetti Marx fa capolino. J …
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