“L’ordine politico
delle Comunità”, di Adriano Olivetti, edizioni di Comunità, ISBN: 978-88-98220-12-0.
Innanzitutto è opportuno premettere che il libro nasce nella prima metà
degli anni quaranta del novecento, quando ormai cominciava a profilarsi per l’Italia
un cambio di regime e, soprattutto, in vista del nuovo progetto costituzionale
che stabilì nel dopoguerra il nuovo assetto politico della nazione. Dunque, solo dunque
se si tiene conto di questo contesto storico si può cogliere pianamente la
novità e modernità del messaggio politico e sociale proposto dall’Autore. Tale
ideologia troverà espressione concreta nell’attività sociale e culturale del
gruppo industriale Olivetti con sede a Ivrea (prov. TO), che intraprese
un’azione fortemente progressista nei confronti delle maestranze e del
territorio realizzando programmi culturali, politiche sociali e del lavoro che
furono assolutamente all’avanguardia. Anche sul piano strettamente politico,
Adriano Olivetti continuò ad impegnarsi per la finalizzazione dei concetti espressi
ne “L’ordine politico delle Comunità”; nel 1948 (fonte wikipedia) fondò il
movimento politico “Movimento Comunità” e, nel 1958 fu eletto deputato nelle
fila del movimento che, nel frattempo, aveva assunto una certa rilevanza
politica nell’ambito territoriale del Canavese (Prov.TO). Fu solo la sua morte
prematura (1960) a mettere definitivamente in crisi la proposta politica della quale
egli era il principale referente.
Il concetto centrale intorno al quale ruota il progetto umanistico proposto
da Olivetti è quello di “Comunità”, raggruppamento territoriale in qualche modo
intermedio fra Comune e Regione e paragonabile al concetto del “Cantone”
svizzero. La Comunità avrebbe il compito di occuparsi dei principali aspetti
economici e sociali legati al proprio ambiente di riferimento. Il modello descritto
e auspicato dall’Autore si ispira sia all’ideologia cristiana sia a forme di
socialismo “reale” e si spinge a prefigurare la cogestione dei mezzi di
produzione da parte degli imprenditori, dei rappresentanti dei lavoratori e di
organi politici espressi dalla comunità stessa (a questo proposito, per
esempio, Olivetti cita il caso delle industrie Zeiss la cui proprietà venne
trasferita dai fondatori ad una fondazione che aveva lo scopo di promuovere la
ricerca scientifica e il benessere delle maestranze!). Le diverse comunità
entrerebbero poi a far parte di stati regionali appartenenti, a loro volta, ad
un’entità federale, i cui poteri però, risulterebbero abbastanza limitati, se
paragonati alle prerogative e alle funzioni che invece sottendono all’opzione
centralista che fu quella scelta per l’Italia del dopoguerra. L’idea di
Olivetti, quindi era certamente molto moderna e, in termini di autonomia e
federalismo, si poneva su una posizione anche più radicale di quelle proposte
dai successivi movimenti autonomisti.
Venendo allo stile del libro, nonostante che l’Autore abbia fatto un certo
sforzo per evitare di redigere un supporto tecnico che fosse valido unicamente
per esperti di diritto pubblico e costituzionale, non ha potuto evitare di
elencare minuziosamente le caratteristiche degli organi, delle funzioni e delle
cariche politiche preposte al funzionamento della “federazione comunitaria”; di
conseguenza, la lettura finisce per risultare piuttosto pesante e più adatta a un
pubblico di giuristi rispetto a quanto risulti indicata a dei lettori generici.
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