La proposta (se non erro, almeno
all’origine, “tedesca”!) di suddividere i profughi o, secondo una visione più
allargata, i migranti fra i vari paesi europei in funzione di quote proporzionali
ad una serie di parametri mi sembra l’unico approccio ragionevole in questa
fase. Semmai, nel momento in cui tale principio venisse accettato, sarà
necessario affrontare il tema della definizione di tali parametri con serietà e
con la flessibilità necessaria per valutare aggiustamenti nel corso del tempo;
posto che, il fenomeno dell’immigrazione, è certamente dinamico e, pertanto,
non si potrebbe pensare di affrontare tale tema attraverso una griglia di
formule rigide e statiche.
L’immigrazione resta comunque un problema
sociale complicato e certamente, l’approccio delle quote, non permetterebbe di risolverebbe
le questioni alla base, cioè quelle riguardanti: l’opportunità di accogliere i
migranti, i limiti eventuali posti al numero degli ingressi, le modalità per
regolarli e le eventuali azioni da porre in atto per “disfarsi” della quota in
eccesso o degli elementi sgraditi. Almeno, però, la definizione di tali ammontari
permetterebbe di risolvere il problema di cosa farsene delle persone che, nel
bene o nel male, sono riuscite a giungere a destinazione e renderebbero quindi
inutili molte delle diatribe, “furberie” e i tanti tatticismi finalizzati allo “scarica
barile” posti in atto dai diversi paesi europei e chiaramente originati dalla
distinzione fra quelli che si trovano sui confini dell’Unione e che, pertanto,
sono destinati ad essere i paesi interessati dal primo contatto ( e che, in
qualche modo non sono riusciti ad “evitare”!), dagli altri che potrebbero
essere quelli di destinazione finale ma che, con l’eccezione di Germania e
Svezia, tendono a non volersi occupare del problema se non attraverso il
finanziamento di missioni di sorveglianza e contenimento.
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