“How much is enough? Money and the Good
Life”, di Robert e Edward Skidelsky, edizioni Penguin Books, ISBN 978-0-241-95389-1.
Gli Autori impostano il loro saggio in conformità a una famosa
previsione dell’economista John Maynard Keynes che, durante una conferenza
tenuta a Madrid nel 1930 tenne un intervento sulle “Possibilità economiche per
i nostri nipoti” (Economic possibilities for our Granchildren). Nel corso di
questo intervento, Keynes stimava che nei futuri cento anni sarebbe più che quintuplicata
la produzione di beni e servizi e che, di conseguenza sarebbe venuta meno molta
della necessità di lavorare, posto che, un aumento così rilevante della
ricchezza avrebbe permesso di coprire abbondantemente tutte le principali
esigenze della popolazione. Di conseguenza, egli prevedeva che, sul finire del
ventesimo secolo, la settimana lavorativa sarebbe stata pari a circa venti ore,
il che avrebbe permesso di rivolgere molta della disponibilità di tempo libero
acquisita ad attività culturali e ricreative.
Come ben sappiamo, le previsioni di Keynes si sono realizzate
solo in parte, cioè riguardo alla sola componente legata allo sviluppo
economico, che, effettivamente si è mossa in accordo alle stime dell’economista.
Invece, la riduzione dell’orario lavorativo non si è realizzata nei termini
previsti e anzi, dopo una diminuzione, comunque meno visibile rispetto a quanto
stimato, sembra ora destinata a stabilizzarsi se non, persino, a invertire il
suo supposto trend discendente.
Secondo gli Autori le ragioni per le quali non avviene un
rallentamento dei ritmi lavorativi proporzionale all'aumento della ricchezza, sono essenzialmente
socio-culturali, politiche e psicologiche. In parte dipende proprio da com’è
organizzato il sistema economico che tende a “costringere” le persone a
lavorare (quelle che hanno un posto di lavoro, ovviamente!) anche oltre a
quanto effettivamente desidererebbero, però, forse, le cause principali vanno
ricercate nella sfera personale e in quella più allargata socio-politica. Per
gli Autori, con l’età moderna è proprio cambiato il modo di vedere il “lavoro”
che, progressivamente si è svuotato del significato che lo vedeva come una
necessità legata alla sopravvivenza e, se vogliamo come una dannazione biblica.
Il lavoro è diventato spesso fine a se stesso e non più semplicemente
finalizzato al soddisfacimento dei propri bisogni che, tra l’altro, crescono
continuamente e artificiosamente in virtù di un meccanismo che s’incarica di creare
sempre nuova “domanda” e non si limita semplicemente a soddisfare quanto è richiesto
spontaneamente. Da qui nasce la domanda che è anche il tema del libro: “Quanto
ti è sufficiente?” (How much is enough?), quanti beni, patrimonio, gadget deve
accumulare un individuo per dichiararsi intimamente soddisfatto? Da questo
interrogativo nasce l’invito a riflettere sugli obiettivi e sul significato
della propria vita e, magari valutare se non valga la pena rallentare la “Corsa
dei criceti” (Rat race) e a scendere dalla giostra.
Gli Autori recuperano il concetto della ricerca e della pratica
della “Vita Buona” (Good Life), illustrato soprattutto da Aristotele e
incorporato nella cultura cristiana (cattolica, più che altro), ma presente
come precetto moralistico un po’ in tutte le società tradizionali. La Vita
Buona, implica equilibrio fra lavoro, tempo libero e ricerca del “piacere”, fra
individualismo e ottiche sociali, sottintende un rapporto equilibrato con l’ambiente
circostante e con la natura in particolare.
La ricerca della Vita Buona, secondo gli Autori, ha dei
presupposti in alcuni “Beni” fondamentali che essi elencano. La loro scelta
cade su concetti allargati di: salute, sicurezza, rispetto, personalità e
armonia con l’ambiente. Inoltre, riconoscendo che, l’obiettivo della Vita Buona
deve essere perseguito individualmente ma, spesso, necessità del supporto
culturale e imperativo dell’intera società, essi individuano anche una serie di
strumenti politici ed economici che possano incoraggiare le persone in questo
senso. In primo luogo, di fatto, auspicano politiche fiscali tese a ridurre l’eccessiva
concentrazione di ricchezza e finalizzate a scoraggiare l’accumulo fine a se
stesso di capitali e risorse, con l’idea, neanche troppo velata che, in fondo,
una società armoniosa debba essere anche sostanzialmente molto più egualitaria
di quanto avvenga ora. Essi, poi, suggeriscono alcuni strumenti specifici, ad
esempio, l’introduzione di politiche tese a diminuire l’orario di lavoro e a
disincentivare l’allungamento della giornata lavorativa; l’aumento dei salari
medi, magari a scapito delle retribuzioni eccessive; l’introduzione di rendite
o sovvenzioni da distribuire “a pioggia” a tutti i cittadini e finalizzate a
distribuire parte della ricchezza nazionale (come ad esempio avviene in alcuni
paesi che distribuiscono ai cittadini parte delle rendite petrolifere); o
ancora, maggior regolamentazione delle forme di pubblicità promozionale. Tutto
ciò, anche in conformità a una visione più moralistica e paternalistica della
politica e del governo e, pertanto, andando un po’ in controtendenza rispetto alla
visione più individualistica ma anche più libertaria che, oggi giorno, è
prevalente.
In sintesi il saggio espone una certa critica all’attuale
modello capitalistico e sociale, entrambi basati su modelli consumistici e di “crescita”
ad ogni costo. Esso, quindi, riprende in un’ottica più filosofica un filone di
riflessione che, a parer mio, ora appare molto dibattuto.
Il suo principale difetto è di rimanere sul vago riguardo ai
modi in cui, effettivamente, una società intera possa trovare l’assetto e l’accordo
politico e, soprattutto, i modi e gli interventi effettivi, che permettano di interrompere
o almeno rallentare la “Corsa dei criceti”.
La parte più convincente è quella che propone un modello di
riflessione individuale e culturale. Lo spirito della “Vita Buona” può essere incoraggiato
e diffuso proattivamente come obiettivo educativo e sociale, ma rimane pur
sempre, una scelta eminentemente personale, c’è quindi un pur minimo spazio che
dipende dalle scelte di ognuno e che pertanto può essere portato avanti a
livello di scelta personale e nei limiti consentiti dai vincoli imposti dal “Sistema”.