venerdì 11 ottobre 2013

Una riflessione sul problema dell'immigrazione


Le recenti vicende legate alla tragedia di Lampedusa dove hanno perso la vita centinaia di migranti e le esternazioni di Grillo e Casaleggio, che sfiduciano la posizione di alcuni senatori M5s che hanno promosso un emendamento favorevole all’abolizione del reato di clandestinità, hanno riportato all’onere delle cronache il complesso problema della regolamentazione dell’immigrazione, riproponendo l’eterno dilemma fra il diritto dei migranti alla libertà di movimento e alla ricerca di un futuro migliore e quello delle popolazioni ospitanti, spaventate e spesso infastidite dal continuo flusso di forestieri in entrata e dalle possibili conseguenze culturali ed economiche di questa lenta “invasione”.
Dove stia il corretto punto di equilibrio fra le esigenze di libertà e la “difesa” del proprio territorio è cosa difficilissima da determinare e molto dipende da come vengono ordinati i valori etici, morali e culturali dei singoli individui. Non è neppure secondario il ricevere delle informazioni corrette; ad esempio come le seguenti:
-         Quanta percentuale del flusso migratorio rimane stabilmente nei luoghi di prima accoglienza e quanta parte, invece, si sposta altrove?

-         Quanto l’immigrazione permanente incide positivamente attraverso il proprio contributo economico e culturale rispetto a quanto si dimostra apportatrice di maggiori costi e disagi?

-         Esistono dei criteri oggettivi per determinare l’eccesso di pressione sulle risorse di un territorio determinato dall’incremento della popolazione?
Soprattutto però è necessario rispondere ad interrogativi importanti cominciando da quello principale: “E’ giusto limitare l’accesso al proprio territorio e mercato del lavoro ad altri individui solo perché privi dello status di cittadini?” e, se si, per quali motivi, richiamandosi a quali principi e secondo quali modalità?
Le risposte a questa semplice serie di domande non sono né semplici né scontate perché, appunto, presuppongono la misurazione soggettiva e psicologica di quanto ognuno di noi sia disposto a spartire, o meglio, condividere, le reali o anche solo immaginate “ricchezze” di un certo territorio e modello sociale che consideriamo "nostro" e il cui equilibrio rischia di essere messo in crisi dal flusso migratorio, ma che da esso, a ben vedere, potrebbe anche ricevere beneficio.

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