“Il Tamburo di Latta”, titolo
originale: “Die Blechtrommel”, di Günter Grass, traduzione di Lia Secci,
edizioni La Biblioteca di Repubblica, ISBN: 84-96075-89-3.
Siamo nel 1951; dal manicomio in
cui è rinchiuso a causa di un omicidio che, in realtà, non ha commesso, Oskar
Matzerath, un uomo di trent’anni, dotato di grande intelligenza ma affetto da
nanismo e deformato da una gobba, rievoca la propria storia e quella della sua
famiglia risalendo nei ricordi grazie all’ausilio del ritmo del suo tamburo di
latta.
La famiglia di Oskar è originaria
del territorio di Danzica ed ha un’origine mista, come spesso avviene nelle
zone di frontiera: comprendendo un ramo casciubico (un’antica etnia di origine
slava stanziatasi nel cosiddetto “corridoio di Danzica” intorno al VI secolo
d.C.) e parentele sia polacche sia tedesche. L’infanzia di Oskar, affetto da
nanismo fin dall’età di tre anni, si svolge a Danzica nel periodo che va dagli anni
venti del novecento fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando la
famiglia sarà costretta a sfollare in quella che diverrà la Repubblica Federale
tedesca.
La vita di Oskar è costellata di
fatti surreali; innanzi tutto, il suo nanismo è, almeno secondo quanto afferma
egli stesso, in un certo senso autoimposto. Oskar, dall’età di tre anni si
rifiuta di crescere in segno di protesta verso il mondo degli adulti. A partire
dal suo terzo compleanno egli maturerà la decisione di non crescere più (questa,
almeno, è la sua spiegazione!) e otterrà in dono il suo primo tamburo di latta,
strumento che lo accompagnerà quasi costantemente fino alla fine del romanzo e
che gli conferirà alcuni dei suoi “poteri” straordinari, quali quello di
richiamare ricordi e sensazioni passate propri e altrui attraverso il ritmo del
tamburo. Un altro suo potere speciale sarà costituito, invece, dalla sua
capacità di incidere o infrangere il vetro a distanza attraverso l'uso della voce. Munito di questi super
poteri, il protagonista vivrà e assisterà a molti “fatti storici”, o meglio, a molte
assurdità, fasi convulse, violenze e ingiustizie conseguenti all’ascesa del
nazismo e agli eventi bellici. Tali avvenimenti, finiranno per intrecciarsi
inesorabilmente con le proprie vicende personali e famigliari, anch’esse piuttosto
complicate, improbabili e notevolmente surreali.
Attraverso mille peripezie, Oskar
riuscirà a raggiungere ricchezza e fama, ma sempre manterrà un punto di vista
distaccato, critico, vagamente paranoico e cinico nei confronti del mondo che
lo circonda.
Che dire di un libro così?
Sicuramente l’opera di Günter Grass è scritta benissimo e, nonostante che la
storia appaia da subito totalmente assurda ci si trova costretti ad andare
avanti per capire come evolve la trama e come il tutto vada a finire.
Personalmente, però, nel corso della lettura non sono riuscito a individuare
tutti quegli aspetti salienti che hanno contribuito alla fama di quest’opera.
Nel corso del romanzo emerge
chiaramente la critica verso il nazismo e nei confronti di quel “mondo degli
adulti” che non ha saputo resistere a tale (in vero, rozza) fascinazione e che
anzi, l’ha accolta prontamente e con favore. Mi è sembrato poi, che l’Autore stigmatizzasse
il nazionalismo di per sé, criticandone gli eccessi sia di parte tedesca sia polacca.
Personalmente, devo però ammettere di non essere stato in grado di cogliere tutti
gli altri aspetti allegorici del romanzo, a partire dal simbolismo legato dalle
varie fasi di crescita fisica del protagonista, dallo sviluppo della sua gobba,
continuando con i riferimenti al periodo del dopoguerra caratterizzato sia dal
fenomeno culturale dell’“espiazione” collettiva delle colpe della seconda
guerra mondiale e del nazismo, sia, all’opposto, della “rimozione” delle stesse
da parte del popolo tedesco. Questi elementi li ho scoperti poi dopo grazie a una
ricerca personale che ho compiuto e che è stata stimolata dalle sensazioni
ambivalenti che mi ha suscitato la lettura dell’opera.
Detto in altre parole, anche dopo
aver affinato maggiormente la conoscenza del romanzo attraverso una ricerca più
approfondita dei significati profondi che ci ha voluto trasmettere Günter Grass,
continuo a ritenere la storia ben scritta ma troppo assurda e criptica per essere
veramente piacevole oltre che istruttiva. Questo almeno per quei lettori che,
come il sottoscritto, tendono a essere espliciti, concreti e vagamente impermeabili
nei confronti del simbolismo. Rimango, infatti, dell’opinione, magari errata,
che un buon romanzo sia tale anche perché immediatamente accessibile e
comprensibile alle menti semplici.
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