martedì 15 ottobre 2013

Recensione: Il Tamburo di Latta


“Il Tamburo di Latta”, titolo originale: “Die Blechtrommel”, di Günter Grass, traduzione di Lia Secci, edizioni La Biblioteca di Repubblica, ISBN: 84-96075-89-3.
Siamo nel 1951; dal manicomio in cui è rinchiuso a causa di un omicidio che, in realtà, non ha commesso, Oskar Matzerath, un uomo di trent’anni, dotato di grande intelligenza ma affetto da nanismo e deformato da una gobba, rievoca la propria storia e quella della sua famiglia risalendo nei ricordi grazie all’ausilio del ritmo del suo tamburo di latta.
La famiglia di Oskar è originaria del territorio di Danzica ed ha un’origine mista, come spesso avviene nelle zone di frontiera: comprendendo un ramo casciubico (un’antica etnia di origine slava stanziatasi nel cosiddetto “corridoio di Danzica” intorno al VI secolo d.C.) e parentele sia polacche sia tedesche. L’infanzia di Oskar, affetto da nanismo fin dall’età di tre anni, si svolge a Danzica nel periodo che va dagli anni venti del novecento fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando la famiglia sarà costretta a sfollare in quella che diverrà la Repubblica Federale tedesca.
La vita di Oskar è costellata di fatti surreali; innanzi tutto, il suo nanismo è, almeno secondo quanto afferma egli stesso, in un certo senso autoimposto. Oskar, dall’età di tre anni si rifiuta di crescere in segno di protesta verso il mondo degli adulti. A partire dal suo terzo compleanno egli maturerà la decisione di non crescere più (questa, almeno, è la sua spiegazione!) e otterrà in dono il suo primo tamburo di latta, strumento che lo accompagnerà quasi costantemente fino alla fine del romanzo e che gli conferirà alcuni dei suoi “poteri” straordinari, quali quello di richiamare ricordi e sensazioni passate propri e altrui attraverso il ritmo del tamburo. Un altro suo potere speciale sarà costituito, invece, dalla sua capacità di incidere o infrangere il vetro a distanza attraverso l'uso della voce. Munito di questi super poteri, il protagonista vivrà e assisterà a molti “fatti storici”, o meglio, a molte assurdità, fasi convulse, violenze e ingiustizie conseguenti all’ascesa del nazismo e agli eventi bellici. Tali avvenimenti, finiranno per intrecciarsi inesorabilmente con le proprie vicende personali e famigliari, anch’esse piuttosto complicate, improbabili e notevolmente surreali.
Attraverso mille peripezie, Oskar riuscirà a raggiungere ricchezza e fama, ma sempre manterrà un punto di vista distaccato, critico, vagamente paranoico e cinico nei confronti del mondo che lo circonda.
Che dire di un libro così? Sicuramente l’opera di Günter Grass è scritta benissimo e, nonostante che la storia appaia da subito totalmente assurda ci si trova costretti ad andare avanti per capire come evolve la trama e come il tutto vada a finire. Personalmente, però, nel corso della lettura non sono riuscito a individuare tutti quegli aspetti salienti che hanno contribuito alla fama di quest’opera.
Nel corso del romanzo emerge chiaramente la critica verso il nazismo e nei confronti di quel “mondo degli adulti” che non ha saputo resistere a tale (in vero, rozza) fascinazione e che anzi, l’ha accolta prontamente e con favore.  Mi è sembrato poi, che l’Autore stigmatizzasse il nazionalismo di per sé, criticandone gli eccessi sia di parte tedesca sia polacca. Personalmente, devo però ammettere di non essere stato in grado di cogliere tutti gli altri aspetti allegorici del romanzo, a partire dal simbolismo legato dalle varie fasi di crescita fisica del protagonista, dallo sviluppo della sua gobba, continuando con i riferimenti al periodo del dopoguerra caratterizzato sia dal fenomeno culturale dell’“espiazione” collettiva delle colpe della seconda guerra mondiale e del nazismo, sia, all’opposto, della “rimozione” delle stesse da parte del popolo tedesco. Questi elementi li ho scoperti poi dopo grazie a una ricerca personale che ho compiuto e che è stata stimolata dalle sensazioni ambivalenti che mi ha suscitato la lettura dell’opera.
Detto in altre parole, anche dopo aver affinato maggiormente la conoscenza del romanzo attraverso una ricerca più approfondita dei significati profondi che ci ha voluto trasmettere Günter Grass, continuo a ritenere la storia ben scritta ma troppo assurda e criptica per essere veramente piacevole oltre che istruttiva. Questo almeno per quei lettori che, come il sottoscritto, tendono a essere espliciti, concreti e vagamente impermeabili nei confronti del simbolismo. Rimango, infatti, dell’opinione, magari errata, che un buon romanzo sia tale anche perché immediatamente accessibile e comprensibile alle menti semplici.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.