domenica 22 luglio 2012

Recensione: Il Canto della Rivolta

“Il Canto della Rivolta”, titolo originale: “Mockingjay”, di Suzanne Collins, traduzione di Simona Brogli, edizioni Mondadori, ISBN 978-88-04-62188-1.

Ultima parte della saga degli Hunger Games. Katniss, la giovane protagonista, con la complicità dei ribelli e di alcuni tributi, evade durante l’edizione commemorativa degli Hungers Games alla quale è stata costretta a partecipare con i superstiti delle edizioni precedenti. Si rifugerà al Distretto tredici, che non solo non è stato distrutto, come da sempre sbandierato dalla propaganda di Panem, ma che anzi si è organizzato in una società sotterranea molto strutturata e gerarchica che però, purtroppo, ricorda in maniera molto inquietante qualche forma di totalitarismo asiatico. L’intenzione del presidente Coin, l’ambizioso leader del distretto è quello di servirsi di Katniss a scopi propagandistici per supportare la rivolta che ormai è esplosa in tutti i distretti. La protagonista finirà, seppure con una certa riluttanza e stravolgendo in parte le regole del gioco, per prestarsi a tale disegno. L’epilogo della vicenda si compirà a Capitol City, dove ancora Katniss sarà determinante per fare fallire sia le trame del presidente Snow che quelle, altrettanto pericolose, della Coin.
Il terzo libro, nonostante qualche incoerenza e alcune forzature (abbattere cacciabombardieri a suon di frecce, seppur potenziate, è francamente troppo, per chi ne ha visto volare anche solo uno!), risulta molto più bello del secondo e quasi allo stesso livello del primo. Anche la protagonista nel corso dell’opera, seppur magari in maniera non subito evidente, “cresce” diventando più adulta e consapevole sia del proprio ruolo sia delle proprie responsabilità verso il futuro della propria Nazione. Lo dimostrerà nelle scelte finali, dove mettendo insieme ragionamento e intuito prenderà la decisione giusta per evitare un nuovo futuro di tirannide e, a livello personale, scioglierà con sensibilità e saggezza i nodi dei suoi dilemmi amorosi. Seria la scelta dell’Autore che non propone un semplice “E vissero felici e contenti”, ma che lascia percepire per chi è uscito dalle devastazioni e dai lutti di una guerra un ben più realistico percorso di recupero post traumatico che curerà le ferite, ma ne lascerà visibili le cicatrici nel corpo come nello spirito.

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