venerdì 7 maggio 2010

Considerazioni sulla crisi della Grecia

La crisi della Grecia, che rischia di contagiare anche altri paesi europei Italia compresa, ha radici profonde ed è un forte segnale di come l’Europa e forse l’Occidente nel complesso non sembri in grado di avviare le riforme sociali, politiche ed economiche per arginare quella che sembra un’inesorabile decadenza nei confronti delle sempre più agguerrite economie asiatiche. Eppure sembra abbastanza facile capire il come queste economie emergenti abbiano messo in crisi i settori economici più deboli e come progressivamente queste tensioni comincino anche a farsi sentire nei confronti dei comparti tecnologicamente più avanzati che sembravano più al riparo da questi fenomeni di erosione. Da anni le nostre classi politiche ed imprenditoriali non investono seriamente ne nella tecnologia ne nella ricerca di base ed ancora di meno sull’istruzione scolastica, abbiamo quindi progressivamente perduto l’unico vero vantaggio che avevamo e che potevamo continuare a mantenere nei confronti dei paesi emergenti e che era costituito dal nostro primato culturale e tecnologico. Nel frattempo nulla si è fatto per modificare seriamente le nostre società, non si è riusciti a rendere realmente efficiente il welfare ne si è riconosciuta la grande importanza dello stesso per garantire degne opportunità e pace sociale per tutti, soprattutto abbiamo pensato ad esso solo come ad un peso e non ne abbiamo riconosciuto il grande valore distintivo nei confronti delle altre culture ed anche di altre società evolute, come ad esempio gli Stati Uniti, soprattutto ci siamo rifiutati di offrirlo come modello auspicabile anche alle altre nazioni in via di sviluppo. Abbiamo evitato di affrontare seriamente un processo di riequilibrio economico fra le generazioni premiando i vecchi e penalizzando i giovani, coccolati da una parte, ma lasciati nell’ignoranza e deresponsabilizzati dall’altra, intruppati in un eterno ciclo scolastico sempre meno formativo e sempre più indirizzato a svolgere il ruolo di sinecura per operatori, amministratori e professori o ridotto a ghiotta opportunità imprenditoriale per i privati, ma che soprattutto fa arrivare già anziani in un mondo del lavoro per altro precario. Ci siamo progressivamente allontanati da un modello fiscale progressivo ottenendo una sempre maggiore polarizzazione della ricchezza, penalizzando le imposte sui redditi da lavoro rispetto alle imposte patrimoniali di successione o sulle rendite. Abbiamo permesso la nascita di multinazionali sempre più indipendenti dal controllo degli Stati e nel contempo non siamo riusciti a dotarci di opportuni contrappesi politici in grado di contrastarne lo strapotere. Abbiamo delegato le nostre scelte ad una classe politica inefficiente, ignorante, individualista e predatrice fin troppo rappresentativa della “media” dei vari Paesi e che semplicemente non sembra nemmeno in grado di capire il contesto storico, sociale ed economico nel quale stiamo vivendo e che candidamente ignora qualsiasi senso dello Stato e di responsabilità verso la società civile che sarebbe invece chiamata a rappresentare. Abbiamo persino soffocato nel nome dei risparmi e della competitività la svolta ambientalista che, non solo cominciava a produrre effetti positivi in termini di qualità della vita sui nostri territori riducendo inquinamento e le patologie collegate, ma che poteva anche essere una nuova vocazione economica e tecnologica sulla quale l’Occidente avrebbe potuto instaurare un durevole primato. Siamo quindi noi la genesi delle nostre crisi, determinata dalla nostra rinuncia ad accettare di operare in sistemi di tipo mutualistico o cooperativistico, ormai convinti che solo il cosiddetto settore privato sia la panacea dei nostri problemi e che progressivamente riporta risorse, produzioni e servizi a situazioni ottocentesche. Non sappiamo proporre sistemi economici alternativi a modelli basati su indicatori legati al credito ed al consumo e sempre di più ci affidiamo ad architetture finanziarie incomprensibili ai più ed alla fine sempre inefficaci se non genuinamente truffaldine; infine, non teniamo conto della sempre maggiore competizione nella lotta al controllo delle risorse non rinnovabili. Se continuiamo di questo passo e non daremo una svolta decisa al nostro modo di vivere e di pensare non ci saranno alternative ad un più o meno rapido declino. La Grecia offre un banco di prova interessante, che però sembra destinato a confermare l’applicazione delle solite ricette basate solo sui tagli del welfare ed in sintesi sull’abbattimento del tenore di vita dei ceti medi. Da una parte ci si trova nella necessità di eliminare sprechi e privilegi ormai anti storici, dall’altra sarebbe necessario esaminare attentamente le istanze della piazza che preme per una diversa ripartizione degli oneri dei sacrifici. Nel contempo cresce il rischio di contagio ad altri Paesi e sale il costo dell’intervento concertato all’interno dell’UE……

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