"Anarchia”; di William Dalrymple; titolo originale “The Anarchy – The Relentless Rise of The East India Company”; traduzione Svevo D’Onofrio, edizioni Adelphi; Isbn 978-88-459-3661-6.
Il saggio descrive l’epopea della
Compagnia britannica delle indie orientali a partire dal 1600 fino al suo definitivo scioglimento
avvenuto nel 1874.
Nel corso della sua lunga esistenza, benché
la Compagnia fosse partita da una condizione di una certa inferiorità rispetto
ad altri concorrenti (ad es. la VOC olandese), essa finì per acquisire un
potere economico e militare immenso che non coinvolse solo il continente
indiano (infine completamente soggiogato da essa), ma tale da divenire una
potenza planetaria.
La Compagnia, attraverso il suo potere
economico e le sue attività di lobby finì per costituire un vero impero all’interno
di un impero, tanto che quello britannico si sentì condizionato e minacciato
dalla potenza emanata dalla sua stessa creazione e dovette progressivamente porre
sempre più sotto il controllo del Parlamento le attività e gli organi
direzionali della Compagnia, giungendo infine a privarla delle sue funzione
amministrative nel 1860 (a seguito della cosiddetta “Rivolta dei Sepoy”) data
in cui, tutti i possedimenti della Compagnia passarono sotto il controllo della
Corona.
La Compagnia non conquistò solo il
controllo del continente indiano attraverso una costante opera di interferenza politica,
economica e militare con i potentati locali e con le compagnie commerciali
concorrenti, ma si spinse ad inglobare il territorio birmano, Singapore, Hong
Kong e l’isola di Giava e fu il principale agente responsabile delle due “Guerre
dell’Oppio” che contrapposero l’impero britannico alla Cina. Circa un quinto
della popolazione mondiale finì per sottostare alla sua autorità.
La politica commerciale della Compagnia
fu spesso predatoria, irrispettosa e irriguardosa delle sorti della popolazione
ad essa assoggettata (es. disastrosa gestione della carestia del Bengala del
1770) e in più di un caso la sua politica aggressiva la portò ad un passo dal
fallimento rischiando di trascinare anche l’impero britannico nei suoi
dissesti; dall’altro lato garantì per lo più ritorni economici favolosi ai
propri associati dotandoli di immense ricchezze utilizzate non di rado per
condizionare la stessa vita politica britannica.
In sintesi, la storia della Compagnia
rimane a costante memento dell’immenso potere che può scaturire da un “persona
giuridica” con finalità esclusivamente o prevalentemente economiche e la sua
storia dovrebbe insegnare a tutti gli agenti politici, soprattutto quelli operanti
in società democratiche, la necessità di vigilare contro lo strapotere che può
scaturire dalla potenza economica di un Ente. Per chi lo vuol vedere, infatti, il problema del potere passato e presente di
certe Corporation (spesso definite “Too big to fail”) è ancora un tema attualissimo e costituisce un pericolo potenziale per il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche e, spesso, un grosso fattore di perturbazione delle economie (ricordiamoci dell'ancora relativamente recente crisi finanziaria del 2007!).
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