martedì 25 luglio 2017

Emergenza acqua, chi paga?

Si parla tanto dell’emergenza idrica in Italia, stupisce però che non si approfondisca molto il tema del “chi” dovrebbe essere chiamato innanzi tutto a coprire i costi degli interventi che si rendono sempre più necessari. Questo non stupisce perché, se da una parte risulta abbastanza facile determinare chi debbano essere tali soggetti soprattutto tenuti ad intervenire, dall’altra è evidente che essi facciano di tutto per scaricare l’intero problema sulla collettività nel nome dell’emergenza, come se il problema fosse solo di ieri e come se il suo aggravarsi non sia un fatto prevedibile; siamo al solito balletto della privatizzazione degli utili e della collettivizzazione degli oneri e delle perdite!
Cominciamo pure dalle società di distribuzione dell’acqua potabile e delle loro reti colabrodo, siano esse a controllo pubblico o privato; evidente, che a fronte di un bel po’ di utili garantiti come già prevede la gestione di tale servizio, debbano essere loro a mettere mano al portafoglio; la smettano quindi di lamentarsi, presentino un piano credibile d’investimento e riducano semmai l’erogazione di bonus e dividendi!
Seguono gli agricoltori, ai quali non si devono negare le evidenti difficoltà alle quali devono fare fronte, ma che, non da ieri sono spesso già pesantemente sovvenzionati e, tra l’altro figurano per definizione fra le categorie più idrovore, non solo per necessità ma, spesso anche per scelta (parliamo dell’espansione dilagante delle coltivazioni di granoturco, ad esempio?). In questo caso, evidentemente, si tratta di favorire non solo la creazione di consorzi finalizzati alla conservazione e alla distribuzione delle risorse idriche che, quando arrivano, tra l’altro, spesso ormai risultano altrettanto devastanti della siccità, ma anche di favorire l’uso della tecnologia e di nuove tecniche di irrigazione (la “carota”), scoraggiandone altre (uso del “bastone” quindi!), quale ad esempio, l’alluvione dei frutteti. Anche qui però si tratta di riconoscere che gli oneri debbano essere ripartiti fra le associazioni agricole e le comunità locali, attuando magari degli sgravi fiscali, mentre non è lecito attendersi che tutto venga calato e, soprattutto, pagato dall’”alto”, cioè dal resto della cittadinanza.
Ci sono poi le società  che producono energia idroelettrica che, ricordiamo, hanno diritto ad immagazzinare risorse idriche “pubbliche” solo entro certi limiti e per le quali non va dato per scontato che esse non debbano essere chiamate a regolare il flusso idrico in funzione delle necessità e non solo in funzione della produzione elettrica.
Fra gli altri aventi causa ci sono poi i privati, ad esempio tutti i proprietari di abitazioni con terreni e giardini annessi, ai quali dovrebbe essere imposta una cisterna collegata ai pluviali in modo da incanalarne l’acqua di scolo e immagazzinarla per l’uso non potabile o, quantomeno, ad essi dovrebbe essere fatto pagare salato il lusso di bagnarsi il giardinetto con l’acqua potabile.
Ci sono infine i vari enti territoriali, perché deve ormai essere chiaro che lo spreco a monte si ritorce su chi viene privato di tali risorse a valle!
Bene cari concittadini, mettiamo pure mano al portafoglio perché certamente tutti devono contribuire, ma facciamolo, una volta tanto, con equità.

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