domenica 9 novembre 2014

Recensione: Perché abbiamo bisogno dell’Anima


“Perché abbiamo bisogno dell’Anima”, di Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà, edizioni Il Mulino, ISBN: 978-88-15-25259-0.
Si tratta di un breve ma interessante saggio riguardante un tema che ormai sembra piuttosto di moda, quello delle neuroscienze. Contrariamente a quanto potrebbe lasciare intendere il titolo assai fuorviante, non si tratta di un’opera che prende seriamente le difese del cosiddetto “Dualismo”, l’interpretazione filosofica e scientifica che, partendo dalle considerazioni del filosofo e matematico Cartesio e sulla scia di una corrente di pensiero che può essere fatta risalire fino a Platone e Aristotele, prevede una separazione fra i concetti di “io”, “mente” e “coscienza” (l’anima?) da una parte e quello di “cervello” dall’altra, che, come organo fisico, rimarrebbe l’unico ambito accessibile a uno studio scientifico. Gli Autori, invece, si dichiarano comunque “Riduzionisti”, cioè seguaci di quella corrente scientifica ormai prevalente che, all’opposto e in sintesi, riconduce il “sé” e le manifestazioni profonde a esso legate, all’evoluzione e all’attività della nostra “rete” neurale.
Quello che distingue, però, l’approccio di questi Autori da altri che si sono cimentati sull’argomento è l’esibizione di una certa cautela riguardo alla portata di alcuni risultati conseguiti dagli studi delle neuroscienze negli ultimi decenni e che, tra l’altro, hanno contribuito in modo rilevante all’affermazione della corrente “Riduzionista” anche al di fuori dall’ambiente strettamente scientifico. L’evoluzione tecnologica degli ultimi vent’anni ha permesso di migliorare notevolmente i metodi d’indagine riguardanti le risposte cerebrali in funzione di particolari stimoli indotti e a determinare più precisamente le aree associate a una certa specializzazione e attività. Queste tecniche, soprattutto quelle legate alle elaborazioni delle neuro immagini, hanno assunto una certa notorietà suscitando non poche aspettative, ma, secondo gli Autori, non hanno modificato significativamente un quadro di conoscenze che, per lo più, era già noto almeno dalla seconda metà del ventesimo secolo. Anche per essi è chiaro che le tecniche basate sullo studio delle neuro immagini siano appena agli inizi e, pertanto, molte nuove scoperte potranno ancora seguire; ma nonostante ciò, essi s’impegnano a raffreddare un po’ le eccessive attese riguardo alla portata generale dei risultati che possono scaturire dall’approccio del cosiddetto “Localismo” (lo studio finalizzato alla precisa determinazione delle aree cerebrali e della loro funzionalità). Per gli Autori, gli studi inerenti alla localizzazione, sono si utili a determinare com’è “organizzato” il cervello ma, in fondo, queste metodologie non sembrano essere poi così decisive al fine di fornire spiegazioni riguardo al “come” e al “perché” quest’organo funzioni in un certo modo.
In particolare, le attuali conoscenze riguardo al funzionamento “meccanico” del cervello non riescono ancora a spiegare il perché, nella pratica, le persone continuino a conformarsi a un “Dualismo” di fatto attribuendo categorie comportamentali molto generiche e comportamenti intenzionali non solo agli uomini ma anche agli altri esseri viventi e persino agli stessi oggetti inanimati (come hanno dimostrato gli esperimenti di F. Heider e M. Simmel già nel 1946). Per altro, si tende ormai a riconoscere che questa nostra caratteristica mentale, seppur possa portare a seri errori di valutazione e possa alimentare i cosiddetti “pregiudizi”, sia ben lungi dall’essere una semplice forma d’illusione o autoinganno, ma sembra invece spiegarsi attraverso una precisa strategia evolutiva finalizzata alla semplificazione della realtà osservabile tesa a facilitare l’analisi del proprio comportamento e di quello altrui.

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