mercoledì 7 agosto 2013

Recensione: Perché le Nazioni Falliscono – Alle origini di prosperità, potenza e povertà


"Perché le Nazioni Falliscono – Alle origini di prosperità, potenza e povertà”, titolo originale: ”Why Nations Fails”, di Daron Acemoglu e James A. Robinson, traduzione di Marco Allegra e Matteo Vegetti, edizioni Il Saggiatore, ISBN: 978-88-428-1873-1. 

La ricerca di valide teorie che riescano a spiegare le differenze che sussistono fra le varie nazioni in termini di sviluppo economico e politico è un’attività in continua evoluzione e una fonte inesauribile di dibattito. Fra le ipotesi sviluppatesi nel corso del tempo, hanno avuto un certo successo alcune spiegazioni che cercavano di far risalire tali diversità a aspetti  ambientali o geografici, altre, a fattori culturali, altre ancora, stigmatizzando l’incapacità delle istituzioni locali di adeguarsi alle esigenze imposte dal “mercato”.
 
Quest’opera, invece, propone un nuovo punto di vista sviluppando una teoria che, nella mia esperienza, ho trovato originale e molto convincente. Per gli Autori il maggiore o minore successo delle nazioni dipende dalla capacità delle stesse a instaurare un circolo virtuoso basato su una relazione molto stretta che unisce l’evoluzione politica e istituzionale alla crescita economica.
In particolare, secondo la terminologia sviluppata nel corso dell’opera, la prosperità tende a beneficiare quei paesi che hanno dato origine a istituzioni politiche ed economiche “inclusive”, vale a dire rappresentative, democratiche, liberali e competitive; al contrario, i paesi sottosviluppati sono per lo più riconducibili a un quadro politico ed economico di tipo “estrattivo”, cioè caratterizzato da istituzioni oligarchiche o di assolutismo politico tale da permettere lo sfruttamento della maggior parte delle risorse e della popolazione a esclusivo beneficio di un’elite ristretta.
Detto in parole più semplici, gli Autori sostengono che là dove la collettività ha avuto successo nel perseguire sia un certo livello di centralizzazione, sia un elevato grado di rappresentatività e di pluralismo nel campo delle istituzioni politiche, tale processo è stato accompagnato anche da una significativa e, soprattutto, diffusa crescita economica.

Gli Autori, ovviamente, mettono in guardia dalle eccessive semplificazioni e avvertono che le combinazioni di variabili che s’intrecciano in una relazione non gerarchica che vede combinarsi crescita economica, forme di condivisione del potere ed evoluzione verso forme di pluralismo politico sono numerosissime e, pertanto, non è possibile entro certi limiti, individuare con precisione le leve e le azioni che pongono in essere un circolo virtuoso di sviluppo. Tra l’altro, essi affermano chiaramente, facendo ricorso a non pochi esempi storici più o meno recenti, che anche le società di tipo “estrattivo”, quelle cioè basate sullo sfruttamento a favore delle elite dominanti, possono garantire periodi anche molto lunghi di sviluppo economico, esse però sono tutte condannate a incontrare un loro limite insito nelle loro forme politiche conservatrici che le porterà inevitabilmente al ristagno e alla decadenza. A esse, infatti, mancherà l’applicazione continua di quella “distruzione creatrice” (secondo la definizione data dell’economista Schumpeter) che garantisce il rinnovamento continuo dell’economia attraverso l’evoluzione della tecnologia ma che, dall’altro lato, causa inevitabilmente anche l’alternanza delle elite al potere. 

Un libro appassionante e illuminante che reinterpreta il passato, giustifica il presente e fornisce qualche elemento in più per scrutare nel futuro.

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