"Perché le
Nazioni Falliscono – Alle origini di prosperità, potenza e povertà”, titolo
originale: ”Why Nations Fails”, di Daron Acemoglu e James A. Robinson, traduzione
di Marco Allegra e Matteo Vegetti, edizioni Il Saggiatore, ISBN: 978-88-428-1873-1.
La ricerca di
valide teorie che riescano a spiegare le differenze che sussistono fra le varie
nazioni in termini di sviluppo economico e politico è un’attività in continua
evoluzione e una fonte inesauribile di dibattito. Fra le ipotesi sviluppatesi
nel corso del tempo, hanno avuto un certo successo alcune spiegazioni che
cercavano di far risalire tali diversità a aspetti ambientali o geografici,
altre, a fattori culturali, altre ancora, stigmatizzando l’incapacità delle
istituzioni locali di adeguarsi alle esigenze imposte dal “mercato”.
Quest’opera,
invece, propone un nuovo punto di vista sviluppando una teoria che, nella mia
esperienza, ho trovato originale e molto convincente. Per gli Autori il maggiore o
minore successo delle nazioni dipende dalla capacità delle stesse a instaurare un
circolo virtuoso basato su una relazione molto stretta che unisce l’evoluzione
politica e istituzionale alla crescita economica.
In particolare,
secondo la terminologia sviluppata nel corso dell’opera, la prosperità tende a
beneficiare quei paesi che hanno dato origine a istituzioni politiche ed
economiche “inclusive”, vale a dire rappresentative, democratiche, liberali e
competitive; al contrario, i paesi sottosviluppati sono per lo più
riconducibili a un quadro politico ed economico di tipo “estrattivo”, cioè
caratterizzato da istituzioni oligarchiche o di assolutismo politico tale da
permettere lo sfruttamento della maggior parte delle risorse e della
popolazione a esclusivo beneficio di un’elite ristretta.
Detto in parole
più semplici, gli Autori sostengono che là dove la collettività ha avuto successo
nel perseguire sia un certo livello di centralizzazione, sia un elevato grado
di rappresentatività e di pluralismo nel campo delle istituzioni politiche, tale processo
è stato accompagnato anche da una significativa e, soprattutto, diffusa
crescita economica.
Gli Autori,
ovviamente, mettono in guardia dalle eccessive semplificazioni e avvertono che
le combinazioni di variabili che s’intrecciano in una relazione non gerarchica che
vede combinarsi crescita economica, forme di condivisione del potere ed evoluzione
verso forme di pluralismo politico sono numerosissime e, pertanto, non è
possibile entro certi limiti, individuare con precisione le leve e le azioni
che pongono in essere un circolo virtuoso di sviluppo. Tra l’altro, essi affermano
chiaramente, facendo ricorso a non pochi esempi storici più o meno recenti, che
anche le società di tipo “estrattivo”, quelle cioè basate sullo sfruttamento a
favore delle elite dominanti, possono garantire periodi anche molto lunghi di
sviluppo economico, esse però sono tutte condannate a incontrare un loro limite
insito nelle loro forme politiche conservatrici che le porterà inevitabilmente
al ristagno e alla decadenza. A esse, infatti, mancherà l’applicazione continua
di quella “distruzione creatrice” (secondo la definizione data dell’economista Schumpeter)
che garantisce il rinnovamento continuo dell’economia attraverso l’evoluzione
della tecnologia ma che, dall’altro lato, causa inevitabilmente anche l’alternanza
delle elite al potere.
Un libro appassionante
e illuminante che reinterpreta il passato, giustifica il presente e fornisce
qualche elemento in più per scrutare nel futuro.
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