venerdì 22 luglio 2011

Manovra finanziaria: Ticket sanitari di 10 euro – palliativo inutile e dannoso

Ultimamente si tratta di un tema dibattuto in quanto aumenta il fronte delle regioni che si rifiutano di introdurlo.
Personalmente sono anch’io contrario all’introduzione di nuovi ticket sulle prestazioni, manovra che al più ritengo accettabile solo relativamente ai “codici bianchi” riscontrati negli interventi di pronto soccorso.
In sintesi ritengo che il ricorso a questi escamotage da parte del Governo nasconda una serie di motivazioni e ragioni nessuna della quale lusinghiera, che qui di seguito riassumo sinteticamente citando solo quelle principali:
1) Incapacità di dare vita ad una serie riforma fiscale che re-distribuisca gli oneri fra tasse sui redditi e redditi patrimoniali/finanziari.
2) Predisposizione al ricorso a manovre di corto respiro quali il ritocco di accise e l’introduzione di bolli e balzelli, categoria che ricomprende anche i ticket sanitari. Tali “mezzucci”, oltre ad avere la caratteristica di non essere spesso efficienti ( il saldo fra ricavi e costi di esazione risulta spesso marginale ed in alcuni casi persino negativo!), si qualificano come interventi fiscalmente regressivi, cioè tendono ad incidere maggiormente sui redditi medio- bassi, rispetto a quanto colpiscano quelli alti.
3) Incapacità di incidere realmente e stabilmente sull’evasione in modo da fare emergere un surplus di gettito senza che sia necessario introdurre nuove imposte.
4) La chiara volontà di scaricare a livello locale, ed in particolare sulle regione buona parte dell’onere della manovra.
5) La propensione a smantellare il servizio pubblico a favore di una sanità privata, creando artificiosamente un sistema perverso di “concorrenza sleale” fra privato e pubblico a favore del primo facendo lievitare artificiosamente le tariffe pubbliche rispetto a quelle offerte dai centri privati.

Proprio riguardo a questo ultimo punto ritengo particolarmente illuminante un intervento tratto dal sito WWW.LAVOCE.INFO e firmato dalla professoressa NERINA DIRINDIN, docente di Economia Pubblica e di Scienza delle Finanze presso l’Università di Torino, che riporto integralmente qui sotto .
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UN TICKET CHE PORTA ALLA SANITÀ PRIVATA
di Nerina Dirindin 19.07.2011
Il ticket di 10 euro previsto dalla manovra altera i prezzi relativi fra strutture sanitarie pubbliche e strutture private: per un gran numero di accertamenti a basso costo il ricorso al servizio pubblico si rivela più costoso. Difficile dunque raggiungere l'obiettivo di aumento delle entrate, sul quale punta la manovra. Intanto, però, si consegna al privato una parte della specialistica ambulatoriale sulla quale si concentrano molte delle aspettative dei produttori del settore e dei gestori di fondi integrativi.
Il ticket di 10 euro sulle ricette per le prestazioni di specialistica ambulatoriale previsto dalla manovra altera i prezzi relativi fra strutture pubbliche e strutture private, rendendo più costoso il ricorso al servizio pubblico per un gran numero di accertamenti a basso costo. Il che vanifica l’obiettivo di aumento delle entrate, sul quale punta la manovra, e consegna al privato una parte della specialistica ambulatoriale sulla quale si concentrano molte delle aspettative dei produttori del settore e dei gestori di fondi integrativi.
UNA TRADIZIONE DI APPROSSIMAZIONE E INEFFICACIA
Sin dalla loro prima apparizione in Italia, nel 1978, i ticket sono stati oggetto di un dibattito tanto vivace e acceso sul piano politico-ideologico quanto approssimativo sul piano degli obiettivi di politica sanitaria con essi perseguiti e delle conseguenze economico-sociali prodotte.
Tradizionalmente, ai ticket sono stati assegnati due ruoli fondamentali: l'uno di finanziamento (ovvero di aumento delle entrate) del Servizio sanitario nazionale, l'altro di contenimento della domanda di prestazioni. Se si esclude il caso dei farmaci, l'esperienza indica una scarsa efficacia dei ticket su entrambi i fronti. Il gettito, a maggior ragione se valutato al netto dei costi amministrativi di riscossione, appare alquanto modesto, mentre il contenimento della domanda è per lo più controbilanciato da un aumento delle richieste di servizi sanitari esenti, erogati, ad esempio, in regime di day hospital.
I ticket previsti dalla manovra appena approvata non fanno eccezione alla tradizione di approssimazione e inefficacia. Con una aggravante: per la prima volta rendono conveniente rinunciare all’utilizzo del servizio pubblico per rivolgersi alle strutture private. È il caso del ticket sulla specialistica di 10 euro per ricetta, già introdotto nel 2007, ma subito abolito. Vediamo come funziona.
UN TICKET DI INGRESSO E UN TICKET DI UTILIZZO
Il ticket di 10 euro per ricetta è una quota fissa che un assistito (non esente), al quale siano state prescritte delle prestazioni specialistiche (visite mediche, esami di laboratorio, diagnostica per immagini, terapie riabilitative, eccetera) deve pagare semplicemente per aver diritto a utilizzare gli ambulatori pubblici. Una volta pagata la quota fissa, il paziente deve anche pagare il ticket sui servizi fruiti, in base al numero e alla tipologia degli stessi. La manovra introduce cioè una sorta di tariffa composta di due parti: un “biglietto di ingresso” (per esercitare il diritto a essere assistito dalle strutture specialistiche del Ssn) e un “ticket di utilizzo” (per utilizzare effettivamente tali strutture, presentando la ricetta rosa del medico curante).
Il “ticket di utilizzo” non è modificato dalla manovra e resta perciò fissato sulla base del tariffario delle prestazioni specialistiche: ogni ricetta può contenere fino a un massimo di otto esami e l’importo complessivo dei ticket per ricetta (determinato sommando la tariffa delle singole prestazioni da erogare) non può superare i 36,15 euro.
Ma una larga parte degli accertamenti di laboratorio, ad esempio quelli del sangue, sono erogati a prezzi unitari molto bassi: qualche centinaio di esami costano meno di 2 euro, e un assistito non esente è tenuto a pagarne il prezzo fino al tetto massimo di 36,15 euro. Cosicché, per esempio, una ricetta con otto esami del sangue - ciascuno con tariffa pari a 2 euro - comporta un esborso nel pubblico di 26 euro (16 euro per le otto prestazioni e 10 euro per la quota fissa) e nel privato di 16 euro (basta non utilizzare la ricetta rosa e non si è tenuti a pagare la quota fissa). Lo stesso dicasi per gli esami radiologici e per le terapie riabilitative. Fa eccezione la diagnostica per immagini ad alto costo (una risonanza magnetica, ad esempio) per la quale l’esborso nel pubblico è ancora inferiore (nonostante i 10 euro) a quello nel privato.
Il ticket di ingresso di 10 euro comporta, quindi, soprattutto per molte delle prestazioni specialistiche più richieste (a basso costo unitario), effetti distorsivi a favore del settore privato. E lo spostamento di parte dell’attività verso il settore privato vanifica l’obiettivo di aumento delle entrate da ticket, sul quale punta la manovra. Inoltre, nel breve periodo, la minore produzione pubblica consente modesti risparmi di spesa (i costi marginali sono esigui), vanificando anche l’obiettivo di contenimento della spesa.
UNA IMPLICITA RIDUZIONE DEI LIVELLI DI ASSISTENZA
A ben vedere il comportamento della sanità pubblica appare paradossale: nella speranza di aumentare i ricavi (da ticket) aumenta i prezzi, senza accorgersi che così facendo consegna alla ”concorrenza” (i centri privati) una parte dei propri assistiti. Nessuna azienda sana di mente commetterebbe lo stesso drammatico errore.
A parte i modesti effetti sui saldi della sanità pubblica, il ticket di 10 euro dà un altro preoccupante risultato: diminuisce di fatto la copertura assistenziale assicurata dalla sanità pubblica a favore dei non esenti. Un modo implicito per ridurre i livelli di assistenza e favorire la graduale fuoriuscita dal Ssn di alcune categorie di cittadini con riguardo a un settore, la specialistica ambulatoriale, sulla quale le pressioni dei produttori del settore (diagnostica, tecnologia, eccetera) e dei gestori di fondi integrativi sono particolarmente elevate. Senza alcuna attenzione all’appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici, riconosciuta a livello internazionale alla base di qualunque miglioramento delle performance dei sistemi sanitari moderni.

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