“L’esercito dell’imperatore – Storia dei crimini di guerra giapponesi 1937
-1945”, titolo originale: “ L’armée de l’Empereur”, di Jean-Louis Margolin,
traduzione di Gianluca Perrini, edizioni Lindau, ISBN 978-88-7180-807-9.
Il saggio ricostruisce i crimini di guerra compiuti
dai giapponesi nei territori controllati prima e durante la Seconda Guerra
Mondiale.
Giustamente l’Autore ricorda al lettore che l’impero giapponese
era già intensamente impegnato sul piano militare ben prima dell’attacco
giapponese a Pearl Harbor nel 1941. A partire dagli ultimi decenni del
diciannovesimo secolo, a seguito dei cambiamenti culturali introdotti durante
il periodo Meiji il Giappone, cominciò ad allargare la propria sfera di
influenza politica e militare. Nel 1895 venne
annessa l’isola di Formosa, mentre fra il 1905 e il 1910, l’impero, anche a
seguito del conflitto con la Russia, prese progressivamente possesso della penisola
coreana; con la Prima Guerra Mondiale vennero acquisiti i territori asiatici
prima controllati dai tedeschi, mentre cominciò una lunga fase di pressione sia
politica sia militare nei confronti della Cina. Nel 1931 l’esercito invase la
Manciuria dove fu istituito un regime fantoccio filo-giapponese e, soprattutto,
a partire dal 1937 (a seguito dell’incidente del Ponte Marco Polo) si aprì la
fase più intensa delle ostilità nei confronti della Cina. A partire
dall’attacco contro la flotta americana di Pearl Harbour, l’impero giapponese
dilagò in Asia Orientale conquistando pressoché tutti i territori fino ad
allora assoggettati al dominio coloniale europeo di Gran Bretagna, Olanda e
Francia nonché a quello statunitense.
Nel corso di tutto questo lungo periodo l’impero
giapponese sottomise un gran numero di popolazioni asiatiche e venne in
contatto, nei panni del dominatore, con una numerosa popolazione “bianca” sia
di estrazione civile (ex coloni), sia militare (prigionieri di guerra).
Il trattamento di coloro che finirono sotto il dominio
giapponese non fu di norma per niente benigno, anche se, riconosce l’Autore, le
situazioni furono varie a seconda del momento, del contesto, delle varie etnie
coinvolte.
Il saggio ricerca e fornisce le principali spiegazioni
della, per certi versi peculiare brutalità giapponese, esponendo con coerenza i
fattori storici, sociali, razziali, economici e, in taluni casi, persino
organizzativi che la determinarono.
Molto interessante, anche il tema della memoria, o
meglio, del recupero e dell’ammissione o, all’opposto dell’attenuazione o
persino della negazione dei misfatti dell’impero giapponese a partire dal
dopoguerra ad oggi. Sensi di colpa, scuse più o meno sincere, negazionismo,
vittimismo, retorica panasiatica, revisionismo, ecc., non solo sono argomenti
vivi e correnti, ma le discussioni che suscitano questi temi a livello locale
e/o internazionale finiscono con l’intrecciarsi con le relazioni politiche ed
economiche fornendo non poche occasioni di conflitto sia in politica interna,
sia relativamente alle relazioni internazionali.
Ottimo lavoro!
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