“Ammazziamo il Gattopardo”, di Alan Friedman, edizioni
Rizzoli, ISBN 978-88-17- 07216-8.
L’Autore, giornalista economico è un americano che ha
svolto lungamente l’attività di corrispondente estero dal nostro Paese, che
conosce fin dagli anni ottanta. Ed è proprio da quei “meravigliosi anni
ottanta” che Friedman parte per svelarci gli ultimi trent’anni delle sue
osservazioni; era il tempo gaudente della “Milano da bere”, del socialismo
craxiano e rampante, dell’Italia consacrata quinta potenza economica mondiale che
un po’ stupiva per quel curioso mescolamento di vecchio e (supposto) nuovo ma
che, secondo l’Autore, dietro la facciata di una modernizzazione e di un
dinamismo solo apparente nascondeva una rigida struttura corporativa e di
poteri forti che ha continuato a perpetuarsi fino ai giorni nostri, ingessando
il Paese e portandolo allo stato di prolungata decadenza che è quello che ha
caratterizzato l’ultimo ventennio. Freidmann racconta dunque di una grande
occasione perduta nel passato per modernizzarsi davvero, causata soprattutto da
una mancata applicazione da parte delle nostre elite politiche ed economiche di
un vero processo di liberalizzazione e di democratizzazione che si sostituisse
alla politica dei “salotti buoni” e delle lobby di potere. Una storia condita
di confitti d’interesse, populismo, corporativismo di destra e di sinistra, mancanza
di volontà, trasparenza e immaturità politica che denunciava l’incapacità della
nostra leadership nell’attuare riforme sociali ed economiche necessarie ma
impopolari.
Pensando invece al presente e al futuro, l’Autore lancia
un chiaro avvertimento: O si cambia o si muore! Secondo lui, gli italiani non
devono illudersi, o accetteranno una serie di profonde trasformazioni per
rinnovare il Paese e la sua mentalità, oppure la crisi continuerà inesorabile a
soffocare lentamente la nostra economia e a sprofondarci nell’irrilevanza.
La seconda parte del libro è dedicata alla descrizione
di una serie di riforme che Friedmann suggerisce di attuare, una cura da
cavalli che prevede una riforma profonda che interessi vari ambiti insieme. Fra
i vari ingredienti figurano: una riforma profonda del diritto del lavoro che
preveda il superamento dello Statuto dei Lavoratori in senso liberista; un
serio approccio teso alla riduzione del debito pubblico da attuarsi attraverso
un programma incisivo di dismissioni e di razionalizzazione della spesa; una
revisione dell’autonomia e della capacità di spesa delle Regioni (vere
responsabili di gran parte del dissesto dei conti pubblici); un vero e proprio
programma di demolizione delle barriere corporative allo scopo di vivificare la
concorrenza e l’efficienza; una profonda riforma dell’amministrazione pubblica;
una politica a tutto campo di valorizzazione del lavoro femminile; una
revisione della spesa pensionistica e una “piccola” patrimoniale. A tutto ciò,
l’Autore aggiunge una serie di contrappesi sociali che permettano di rendere le
riforme effettivamente attuabili e, soprattutto, sopportabili dalle fasce più
povere della popolazione.
Ne viene fuori un bel libro, sincero e condivisibile
in molte delle sue parti anche se, forse viziato da una visione un po’ troppo
anglosassone (e darwinista) della vita; (sarò forse anch’io un po’ gattopardo?!).
Quest’ultima mia riserva e considerazione non cambia dunque il giudizio
generale su quest’opera; questo libro vale sicuramente la pena di leggerlo, chiedendoci
in tutta onestà quante delle soluzioni proposte siano effettivamente da
prendere in considerazione anche a onta dei nostri interessi personali per arrivare a
quell’inversione di tendenza, unica reale precondizione che assicuri un nuovo futuro
di sviluppo per i nostri figli.