"Lotta per la sopravvivenza.
La guerra della Cina contro il Giappone 1937-1945”, titolo originale: "China’s
War with Japan 1937-1945. The Struggle for Survival”, di Rana Mitter,
traduzione Piero Arlorio e Santina Mobiglia, editore Giulio Einaudi, ISBN
978-88-06-24240-4.
Attraverso una ricostruzione
minuziosa degli eventi che partono dal 1937 (ma riassumendo anche la situazione
ereditata dal decennio precedente) fino al 1945, l’Autore ci ricorda il grande
impegno profuso dal popolo cinese al successo degli alleati nella Seconda
Guerra mondiale.
Spesso ci si scorda, infatti, che
la Cina assorbì per oltre un decennio una parte rilevantissima delle risorse
dell’esercito imperiale giapponese resistendo fra mille difficoltà a forze agguerrite
e soverchianti, pagando un costo umano, materiale, sociale e politico che pochi
altri Paesi hanno sostenuto e fornendo allo stesso tempo contingenti che
dettero un contributo rilevante al contenimento delle forze nipponiche anche in
altri fronti del conflitto (es. Birmania ed India).
Mentalmente, molti occidentali
fanno risalire il coinvolgimento dell’Asia nella Seconda Guerra Mondiale al 7 dicembre
1941, data dell’attacco giapponese alla base navale americana di Pearl Harbor.
A questo fatto bellico seguì, effettivamente, l’iniziale dilagante iniziativa
delle forze aereo-navali giapponesi nei confronti dei territori controllati
dalle potenze coloniali occidentali (Indonesia, Birmania e Singapore,
Filippine, ecc.).
Ma si dimentica spesso invece che
la guerra in Asia era già divampata da molti anni e andava avanti, senza
risparmio di mezzi e risorse umane fra Cina e Giappone ufficialmente fin dal
febbraio del 1937 a seguito dell’incidente del “Ponte di Marco Polo”, ma se
vogliamo, da ben prima se si tiene conto degli scontri sino-giapponesi legati
all'occupazione della Manciuria e di Shangai (settembre 1931 – febbraio 1932).
La Cina, in forte trasformazione
politica e sociale dopo la caduta dell’impero avvenuta fra il 1911 e il 1912
non aveva ancora trovato un assetto stabile nonostante i tentativi del
Kuomintang (il partito nazionalista cinese) guidato, a partire dal 1925 da
Chiang Kai-shek, di domare sia la crescente influenza del partito comunista
cinese (fondato nel 1921) sia le tendenze centrifughe dei cosiddetti “Signori
della guerra”.
Di questo lungo periodo di crisi
politica approfittò il Giappone, progressivamente caratterizzato anch'esso da
un’involuzione di tipo nazionalista, che portò avanti una politica estera
sempre più aggressiva e arrogante nei confronti della nazione vicina.
Da questa situazione trasse
origine una lunga e devastante guerra d’attrito che durò fino al termine della guerra
mondiale e che letteralmente logorò e lacerò in profondità la società cinese gettando
il Paese nel caos e radicandone le contrapposizioni che poi sarebbero riemerse
nel dopo guerra durante la guerra civile che sancì la vittoria comunista.
Interessante notare i tanti
rilievi dell’Autore che ricostruiscono e stigmatizzano gli effetti della
politica poco lungimirante delle potenze alleate nei confronti della Cina, i
cui effetti possono essere considerati come minimo fra le rilevanti concause per
spiegare l’ascesa del partito comunista cinese e la conseguenza “Perdita della
Cina”, sindrome che tanto influenzò la politica americana del dopo guerra e che
ebbe non poca influenza nel coinvolgimento della super potenza prima in Corea e
poi in Vietnam.
Un gran bel libro che rende
giustizia al ruolo svolto da un grande Paese e verso il quale appare giusto sentirsi
debitori.