venerdì 17 dicembre 2021

Recensione: "L’arte di non essere governati – Una storia anarchica degli altopiani del Sud-est asiatico"

"L’arte di non essere governati – Una storia anarchica degli altopiani del Sud-est asiatico”; di James C. Scott; titolo originale: “The Art of Not Being Governed. An Anarchist History of Upland Southeast Asia”; Traduzione di Maddalena Ferrara; edizioni Einaudi, Isbn 978-88-06-24469-9.

L’area di cui si parla è stata definita dallo storico olandese Willem van Schendel “Zomia”, sulla base di un termine diffuso in parecchi dialetti locali che significa “abitante degli altopiani”. Geograficamente si tratta di una vasta area collinare e montuosa che si estende fra India Nord-orientale, Birmania-Myanmar e penisola indocinese, qui comprendendo ampie zone di Vietnam, Laos e Thailandia. Questa vasta zona, da sempre costituisce un’area di rifugio per tutte quelle etnie e parte delle popolazioni che tende a sottrarsi al controllo centralizzato che emana tradizionalmente dalle zone di pianure, aree che invece, da millenni sono amministrate da regimi centralizzati.

L’Autore si addentra sull'analisi delle differenze economiche, culturali e sociali che caratterizzano i due modelli contrapposti eppure, in parte, anche porosi e sinergici; l’uno basato storicamente sull'agricoltura risicola intensiva e su modelli sociali gerarchizzati, l’altro caratterizzato più sulla diversificazione delle culture e dall'agricoltura itinerante e, politicamente, più frammentato ma socialmente più egualitario.

L’Autore critica anche una percezione culturale diffusa che è spesso caratterizzata da una visione semplicistica dei due diversi modelli e che, in termini generali, definisce le società strutturate delle pianure come “civili” contrapponendole alle popolazioni degli altopiani etichettate come “selvagge”. La definizione di “civiltà” risulta spesso fuorviante ed ambigua in questi casi e, soprattutto, la Storia ufficiale solitamente tende a privilegiare e ad emanare il punto di vista delle società strutturate che, attraverso l’uso della scrittura lasciano maggiori tracce di sé e che, in virtù del loro peso demografico, tendono ad assumere il controllo delle aree periferiche attraverso un processo che non si può che definire “imperialista”.

In sintesi, Saggio interessante nelle premesse e nelle argomentazioni ma che finisce per essere spesso inutilmente ripetitivo.


martedì 7 dicembre 2021

Recensione: Abitare la frontiera - Lotte neorurali e solidarietà ai migranti sul confine franco-italiano

"Abitare la frontiera - Lotte neorurali e solidarietà ai migranti sul confine franco-italiano”; di Luca Giliberti; edizioni Ombre Corte, Isbn 9788869481673.

Il saggio è incentrato sull'esperienza sul campo dell’Autore che lavora come sociologo presso l’Università di Genova. L’opera si concentra sul caso della Val Roja, valle francese confinante con il cuneese e ad esso collegata attraverso il passo di Tenda.

A partire dal 2015, a seguito dell’inasprimento dei controlli di frontiera relativamente ad altri punti di accesso, la valle si ritrova interessata da un significativo flusso migratorio che trova il suo collo di bottiglia nella cittadina ligure di frontiera di Ventimiglia. Il fenomeno acquista una tal portata da divenire un “caso” che, tra le altre cose, porta ad una crescente militarizzazione della frontiera da parte delle autorità italiane e francesi.

Fra le varie conseguenze del fenomeno l’Autore si interessa allo studio del diverso comportamento della popolazione locale che, grossomodo, si divide in blocchi polarizzati. Una componente del tessuto territoriale si fa coinvolgere nell'attività di assistenza ai migranti anche mettendo in atto comportamenti sanzionati dalle autorità, un’altra parte è invece sostanzialmente ostile nei confronti dei migranti e si schiera su valori più “conservatori”.

L’Autore si concentra su uno studio etnografico con l’obiettivo di determinare le caratteristiche e le ragioni rilevanti che spieghino la diversa composizione e il diverso atteggiamento dei due diversi raggruppamenti di “locali” nei confronti dei migranti e, nel condurre la sua analisi, produce anche una serie di indizi utili che gettano una luce sul come si stia caratterizzando nel tempo il fenomeno di spopolamento e di reinsediamento delle nostre montagne (al di là del caso specifico).

L’Autore (per sua stessa dichiarazione) risulta un po’ di parte. Personalmente però, ho trovato gli spunti e i risultati dell’analisi piuttosto interessanti persino là dove non ero sicuro di condividere le stesse opinioni dello scrivente. 

Recensione: Uccidi per primo – La Storia segreta degli omicidi mirati di Israele

 "Uccidi per primo – La Storia segreta degli omicidi mirati di Israele”, di Ronen Bergman; titolo originale: “Rise and Kill first”; Traduzione di Sara Crimi e Laura Tasso; edizioni Mondadori, Isbn 978-88-04-70290-0.

Il saggio copre le gesta dei servizi di sicurezza a partire dalla costituzione dello Stato di Israele fino ai giorni nostri (2010) ancorché riporti anche alcuni episodi precedenti e risalenti al periodo di occupazione inglese.

Molto preciso, spesso costruito sulla base di una solida documentazione e di testimonianze dirette, ben annotato e argomentato, non lascia dubitare della veridicità dei fatti che vengono riportati e, allo stesso tempo, può essere letto come un romanzo tanto coinvolgente quanto divisivo.

Il tema trattato è indubbiamente difficile da inquadrare perché, per definizione descrive affari “sporchi” e azioni spesso in contrasto non solo con le leggi ma anche con la morale e i sentimenti comuni; questo però è esattamente il “terreno di gioco” di questo tipo di organizzazioni che, appunto, spesso e per necessità, si collocano in un limbo etico/normativo.

Detto ciò, sulla base del mio parere personale e, sembrerebbe, anche sulla base di ciò che pensa l’Autore, i fatti riportati nel saggio possono prestarsi, sul piano morale, ad una classificazione temporale che, seppur grossolana come tutte le categorizzazioni, io penso di aver percepito. Questa linea di demarcazione è costituita dall'invasione del Libano del 1982 (operazione “pace in Galilea”). C’è un “prima” dove si percepisce la volontà dello Stato d’Israele di sopravvivere in un contesto che lo vedeva oggettivamente svantaggiato e, di conseguenza, in questa ottica molti (mis)fatti, trovano agli occhi di un lettore imparziale una certa giustificazione; lentamente però emerge un “dopo” che vede uno Stato sempre più strutturato e forte assumere progressivamente una natura più imperialista ed egemone e allora, il baricentro morale tende a spostarsi...  

Questi però sono ovviamente i pensieri di chi può permettersi di esaminare i fatti mentre se ne sta comodamente seduto in poltrona ...